Figure contemporanee di Casa Savoia, testimoni esemplari di Fede / seconda parte

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Figure contemporanee di Casa Savoia, testimoni esemplari di Fede

 

In conspéctu divinæ maiestátis tuæ

rubrica di Cristina Siccardi

 

Con questo articolo (di cui potete leggere la prima parte cliccando qui) terminiamo la presentazione delle figure di Casa Savoia che hanno dato prova di eroicità delle virtù o che, comunque, sono state testimoni esemplari di Fede, di Speranza, di Carità. Esse appartengono all’età contemporanea e le abbiamo riunite tutte insieme. Il profondo sentire cristiano, in unione a Santa Romana Chiesa, ha permeato l’esistenza di queste personalità forti nella mitezza, contribuendo a creare un’Europa identitaria e ad ispirare nel popolo italiano valori imprescindibili e gerarchici, quali il rapporto con Dio, la dedizione al proprio dovere di stato, l’amore per la famiglia e la Patria a costo del sacrificio supremo della propria vita.

Al fondo troverete un riepilogo di tutte le personalità della Dinastia, distintesi per la propria esistenza votata ai principi evangelici.

 

Mafalda di Savoia, Langravia d’Assia

Mafalda Maria Elisabetta Anna Romana di Savoia, langravia d’Assia, secondogenita di re Vittorio Emanuele III e della Regina Elena del Montenegro, nasce a Roma il 19 novembre 1902. Il nome era stato scelto da Vittorio Emanuele, ricordando Matilde di Savoia, figlia di Amedeo III, il crociato fondatore dell’abbazia di Altacomba, e sorella di Umberto III il Beato. Matilde sposò nel 1146 Alfonso di Borgogna, primo re del Portogallo ed ebbe una figlia che chiamò Mafalda (in lingua portoghese Mahalda): promessa ad Alfonso II d’Aragona, la principessa preferì il monastero alle nozze, morendo poi in odore di santità ed è tuttora venerata a Cascia (Perugia). Un’altra Mafalda di sangue blu, ma non di Savoia, fu regina di Castiglia, beatificata da papa Pio VI.

Mafalda cresce in un ambiente più familiare che nobiliare. Quando nel 1900, all’assassinio di Umberto I, Vittorio ed Elena salirono sul trono, cambiano radicalmente la vita di corte. Il Quirinale fu la loro prima dimora, ma scelsero di vivere nell’ala detta «della Palazzina», la zona più raccolta e per ubicazione e per struttura, per poi andare ad abitare a Villa Savoia. Il temperamento di Mafalda era allegro e brillante: estroversa e socievole, trascorse una giovinezza felice, grazie alla forte unione familiare, alla presenza costante e dolce della regina Elena, all’affetto di Vittorio Emanuele III, all’affiatamento con il fratello Umberto e le sorelle, in modo del tutto speciale con la principessa Giovanna. Di indole docile ed ubbidiente, ereditò dalla madre il senso della famiglia, i valori cristiani, la passione per l’arte e la musica. Amava il ballo e in particolare la musica classica, soprattutto le opere di Giacomo Puccini, il quale le disse che proprio a lei avrebbe dedicato la Turandot.

Trascorse infanzia e giovinezza divisa fra Roma e le località di villeggiatura: Sant’Anna di Valdieri, Racconigi, San Rossore. Durante la prima guerra mondiale seguì, con le sorelle Jolanda e Giovanna, la madre nelle frequenti visite negli ospedali ai soldati feriti e collaborando agli innumerevoli atti di carità verso i sofferenti ed i poveri della Regina Elena, donna dall’altissimo profilo spirituale della quale è già introdotto il processo di canonizzazione.

Conobbe in seguito il langravio Filippo d’Assia (1896-1980), principe tedesco, giunto in Italia per i suoi studi di architettura. Le nozze si celebrarono a Racconigi il 23 settembre 1925. Vittorio Emanuele III per la fausta occasione donò alla figlia un piccolo casale romano situato fra i Parioli e Villa Savoia. Alla casa venne dato il nome di Villa Polissena, in memoria della principessa Polissena Cristina d’Assia-Rotenburg, seconda moglie di Carlo Emanuele III di Savoia. Dalla loro felice unione nacquero quattro figli: Maurizio d’Assia (1926); Enrico d’Assia (1927-1999), Ottone (1937-1998) ed Elisabetta (1940).

La principessa di Savoia fu donna coraggiosa che non misurava il rischio quando si tratta di intervenire per gli altri, così come avvenne durante la seconda guerra mondiale. Con l’armistizio dell’8 settembre 1943, Hitler progettò la sua vendetta ai danni della famiglia reale italiana e come vittima da immolare indicò proprio la consorte del principe d’Assia.

Mafalda partì per Sofia per stare accanto alla sorella Giovanna, il cui marito, Boris III re di Bulgaria, era morto per avvelenamento il 28 agosto 1943. La principessa di Savoia non fu messa al corrente dell’armistizio e venne informata soltanto a cose fatte alla stazione ferroviaria di Sinaia, in piena notte, dalla Regina di Romania, mentre stava tornando in Italia. Tuttavia, dimentica di sé, decise di fare ritorno a Roma per congiungersi con i suoi figli e con la sua famiglia d’origine (il marito era prigioniero di Hitler in Germania, alla sua insaputa): era convinta che i tedeschi l’avrebbero rispettata in quanto moglie di un ufficiale tedesco. Con mezzi di fortuna, il 22 settembre raggiunse Roma e scoprì che il re, la regina ed il fratello Umberto avevano lasciato la capitale. Riuscì a rivedere, per l’ultima volta, i figli Enrico, Ottone ed Elisabetta (Maurizio era arruolato in Germania), custoditi da monsignor Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI, nel proprio appartamento.

La Gestapo, che aveva aperto su di lei un vero e proprio Dossier, fece scattare l’«Operazione Abeba»: cattura e deportazione di Mafalda di Savoia. Arrestata a Roma il 22 settembre 1943, venne imbarcata su un aereo con destinazione Monaco di Baviera, fu poi trasferita a Berlino ed infine deportata nel Lager di Buchenwald e rinchiusa nella baracca n. 15, sotto il falso nome di Frau von Weber. Le venne vietato di rivelare la propria identità e per scherno i nazisti la chiamavano Frau Abeba. Occupò una baracca insieme all’ex deputato socialdemocratico Rudolf Breitscheid ed a sua moglie, e le venne assegnata come badante la signora Maria Ruhnau, alla quale Mafalda, in segno di riconoscenza, le regalerà l’orologio che portava al polso. La dura vita del campo, il poco cibo (che divideva con coloro che reputava avessero più bisogno di lei) ed il glaciale freddo invernale, deperirono ulteriormente il già gracile e provato fisico di Mafalda.

Nell’agosto del 1944 gli anglo-americani bombardarono il lager e la sua baracca venne distrutta. La principessa riportò gravissime ustioni e contusioni su tutto il corpo. Fu ricoverata nell’infermeria della casa di tolleranza dei tedeschi del lager, ma qui non venne curata. Dopo quattro giorni di agonia, sopraggiunse la cancrena al braccio sinistro che fu amputato con un interminabile e dissanguante intervento chirurgico. Ancora addormentata, Mafalda venne riportata nel postribolo e abbandonata, senza assistenza. Morì a 42 anni, il 28 agosto 1944. Il dottor Fausto Pecorari, radiologo internato a Buchenwald dichiarò che Mafalda era stata intenzionalmente operata in ritardo e l’intervento era il risultato di un assassinio sanitario avvenuto per mano di Gerhard Schiedlausky (poi condannato a morte dal tribunale militare di Amburgo e giustiziato per impiccagione nel 1948), come era già avvenuto per altri casi, soprattutto quando si trattava di eliminare “personalità di riguardo”.

La salma di Mafalda di Savoia, grazie al padre boemo Joseph Tyl, monaco cattolico dell’ordine degli Agostiniani Premostratensi, non venne cremato, ma fu messo in una cassa di legno, sepolta sotto la dicitura: 262 eine unbekannte Frau (donna sconosciuta). Trascorsero alcuni mesi e sette marinai italiani, reduci dai lager nazisti, trovarono la bara della principessa martire e posero una lapide identificativa.

Dallo studio dell’esistenza della principessa e della sua personalità, emerge la figura di una principessa briosa e mite, intelligente e colta, sempre dedita agli altri; una sposa ed una madre esemplare, di grandissima fede cattolica, sempre pronta alla carità per i più bisognosi e disagiati. Persona semplice, indulgente, benevola e amabile. Piuttosto cagionevole di salute affrontò ugualmente e con amore quattro gravidanze, di cui l’ultima a 38 anni. Donna di grande classe e finezza di tratti, era fortemente ancorata ai valori e ai principi evangelici.

Il destino la segnò crudelmente, ma il martirio di Buchenwald non fu altro che l’epilogo di una vita perennemente spesa e protesa verso il prossimo: per vivere accanto all’amato marito, sopportò il rigido clima tedesco fino a quando non le venne impedito dai medici; accettò di occuparsi del «caso Montenegro» (restaurazione del trono Petrovich) per amore di suo padre e di sua madre non considerando che la Gestapo l’avrebbe pedinata; si recò al funerale del cognato per amore della sorella Giovanna, sebbene l’Europa vivesse giorni di ferro e fuoco; per sentire telefonicamente il consorte in Germania, cadde nella trappola predisposta dall’ufficiale tedesco Herbert Kappler, comandante del Servizio Segreto delle SS e della Gestapo a Roma.

Il sacrificio della breve vita è l’ultimo atto di una scena terrena  occupata prioritariamente dalla presenza del Vangelo nella sua esistenza: anche nel campo di concentramento di  Buchenwald non badò a se stessa, in cima ai suoi pensieri c’erano i figli, il marito, i genitori, gli internati del campo e in particolare agli italiani del lager, ai quali fece sentire tutta la sua vicinanza. Le sue ultime parole furono proprio dirette a loro: «Italiani, io muoio, ricordatemi non come una principessa ma come una vostra sorella italiana».

All’esterno della neoclassica Villa Polissena, nella via oggi intitolata a Mafalda di Savoia, è collocato un piccolo altare composto da un rilievo della Vergine con il bambino (a cui Mafalda era molto devota) e da un busto della principessa, sul piedistallo del quale sono incise queste parole: «Alla memoria di Mafalda di Savoia, principessa d’Assia, nata a Roma il 19 novembre 1902, morta da martire a Buchenwald il 28 agosto 1944». La martire Mafalda di Savoia riposa oggi nel piccolo cimitero degli Assia nel castello di Kronberg in Taunus a Francoforte-Höchst, frazione di Francoforte sul Meno.

Più di centocinquanta vie, piazze, giardini pubblici intitolati a lei (anche in città tradizionalmente rosse come Forlì o Modena), un comune che porta il suo nome (in provincia di Campobasso), cippi e monumenti eretti in suo onore, diverse scuole italiane e club dedicati alla sua memoria… le richieste di intitolazioni topografiche proseguono dal nord al sud d’Italia. Figlia ideale, madre ideale, moglie ideale… principessa dai connotati straordinariamente umani e cristiani, Mafalda rappresenta una vittima sacrificata sull’altare degli olocausti perpetrati in una guerra dove l’odio ha espresso le sue più turpi facce, in una guerra più ideologica che di conquista.

 

Umberto II di Savoia, Re d’Italia

Cento e uno salve di artiglieria risuonarono nel secolare parco del castello di Racconigi il 15 settembre 1904. Alle ore 23 il dottor Morisani aveva annunciato a Vittorio Emanuele III: «Maestà, è nato un Principe di Casa Savoia!», il Re era impallidito e aveva sorriso. «Il mio animo si allieta in modo particolare per la speranza che il neonato possa col tempo servire al bene e alla grandezza della Patria» scriverà più tardi al sindaco di Roma.

Il Re era affiancato da una consorte, Elena di Montenegro, propensa non ai salotti culturali e politici, ma a stare a contatto diretto con il popolo e in particolare alle persone più umili e bisognose.

Quando nacque l’erede al trono le agitazioni degli scioperanti erano all’ordine del giorno, ma il felice evento diffuse un senso di sicurezza nel popolo d’Italia. Era stato a lungo atteso, preceduto dalle principesse Jolanda (1° giugno 1901) e Mafalda (19 novembre 1902). Fu battezzato il 16 settembre sera nella cappella del castello dal cappellano di corte, monsignor Biagio Balladore, coi nomi di Umberto (in onore del nonno paterno), Nicola (preso dal nonno materno), Tommaso (come lo zio, duca di Genova), Giovanni, Maria. La cerimonia pubblica del battesimo ebbe luogo invece al Quirinale di Roma e officiò monsignor Giuseppe Beccaria.

Il bambino crebbe buono ed innocente, nonostante gli orrori delle guerre, più incline alla meditazione che all’azione terrena. La sua religiosità, dalla quale il padre Vittorio Emanuele rimase sempre orgogliosamente distante, si accrebbe di giorno in giorno.

Il calore e l’intimità familiare non vennero a mancare ad Umberto. Non si trovò, infatti, a vivere in una corte, ma in un focolare domestico. Mamma Elena era molto tenera con i figli e per lui, che chiamava «Bepo», aveva un forte debole.

Tuttavia il vento iniziò a mutare quando si avviarono gli studi: il Re decise che occorreva formare il figlio privatamente, senza contatti con i coetanei. L’educazione di Umberto fu quindi di stampo militare, tra disciplina, caserma, accademia, esercitazioni, sotto la guida dell’ammiraglio Attilio Bonaldi, uomo retto, onesto, ma esigentissimo.

Dall’oggi al domani il Principe di Piemonte – era questo il titolo che gli fu assegnato – passò dalle cure materne agli insegnamenti dell’ammiraglio. Il suo temperamento ne uscì modificato, improntato a un ferreo autocontrollo, che divenne il filo conduttore di tutta la sua esistenza.

A 14 anni venne iscritto al Collegio militare di Roma, con sede a Palazzo Salviati, alla Lungara, dove rimase fino a 17 anni, quando presentò domanda di arruolamento volontario nell’esercito, al primo reggimento granatieri. Si appassionò allo studio, in particolare gli piaceva l’archeologia, meno la narrativa e la poesia.

Quando compì vent’anni, il compito del governatore Bonaldi terminò. Nel 1925 il Principe superò gli esami all’Accademia di Modena e divenne tenente in servizio permanente effettivo al 91° reggimento di fanteria di stanza a Torino.

I quattro anni trascorsi nell’ex capitale furono indimenticabili per Umberto. Lontano dal padre si sentiva a proprio agio: il rigore e la disciplina militari non gli pesavano e la sera poteva dedicarsi ai suoi amici. Fu testimone muto degli sconvolgimenti sociali e politici in corso in Italia, culminati con l’ascesa al potere del partito fascista.

Il suo ruolo di erede comportava il dover essere cosciente di ciò che accadeva in quella patria dove un giorno avrebbe regnato: per questo motivo, raggiungeva in treno il Re suo padre e i funzionari dell’esercito, sfilando accanto a loro nelle visite ai militari.

Era il 1918 quando incontrò per la prima volta Maria José del Belgio, la sposa che gli era stata assegnata dalle ragioni di Stato, ma non era incline ad affrettare i tempi per le nozze. L’11 novembre 1925, intanto, si laureò a Padova in legge e divenne famoso per la sua eleganza, l’amore per lo sport e per la partecipazione a feste e ricevimenti.

Pur nella vita mondana, non faceva nulla per celare la propria religiosità, improntata a un’etica cristiana che lo faceva soffrire quando trasgrediva. Alle sette di mattina della domenica si recava, da solo, nella cappella del Cottolengo per la Santa Messa. Salutava sempre con la genuflessione il cardinal Maurilio Fossati, Arcivescovo di Torino, e rispettava ogni ricorrenza religiosa. Fu pellegrino a Santiago de Compostela, Nazaret e Betlemme, sempre con spirito penitenziale.

La sua vita da scapolo non durò molto: una sera, mentre era a casa di amici, gli telefonò il padre, per dirgli che il tempo era scaduto. Il 25 ottobre 1929 Umberto, il giorno dopo l’annuncio ufficiale del fidanzamento, si recò con Maria José in corteo a rendere omaggio alla tomba del Milite Ignoto a Bruxelles, rischiando di rimanere vittima di un attentato. Le nozze si celebrarono l’8 gennaio 1930, giorno del compleanno della regina Elena, nella cappella Paolina del Quirinale, alla presenza del Cardinale Pietro Maffi, Arcivescovo di Pisa.

Spiato fin dai tempi torinesi dalla polizia segreta fascista, l’Ovra, Umberto mantenne il proprio equilibrio e il controllo di sé, ormai abile nel nascondere preoccupazioni, turbamenti, ansie, inquietudini.

Nel settembre del 1943, dopo l’Armistizio, re Vittorio Emanuele III e la moglie lasciarono Roma per dirigersi al Sud, ma Umberto ne fu contrario: «La mia partenza da Roma… è senza dubbio uno sbaglio. Penso che sarebbe opportuno che io tornassi indietro; la presenza nella capitale di un membro della mia Casa in momenti così gravi, la reputo indispensabile».

Il palazzo del Quirinale, dove si riservò un appartamento, venne quindi aperto ai mutilatini, perché giocassero con i suoi figli. Allo stesso modo, i saloni divennero luoghi dove offrire il pranzo ai bambini degli orfanotrofi. L’amore per i più piccoli era decisamente un’eredità della madre: ogni istante libero dai suoi doveri istituzionali era per loro.

Nel giugno del 1944, dopo la liberazione di Roma, Vittorio Emanuele III nominò il figlio Luogotenente Generale del Regno in base agli accordi tra le varie forze politiche che formavano il Comitato di Liberazione Nazionale, che prevedevano di «congelare» la questione istituzionale fino al termine del conflitto. Umberto, dunque, esercitò di fatto le prerogative del sovrano senza tuttavia possedere la dignità di re, che rimase a Vittorio Emanuele III.

Umberto firmò su pressione americana il decreto legislativo luogotenenziale 151/1944, che stabiliva che «dopo la liberazione del territorio nazionale le forme istituzionali» sarebbero state «scelte dal popolo italiano, che a tal fine» avrebbe eletto «a suffragio universale, diretto e segreto, un’Assemblea Costituente per deliberare la nuova costituzione dello Stato» dando per la prima volta il voto alle donne.

Il 9 maggio 1946, ad appena un mese dallo svolgimento del referendum istituzionale che doveva decidere tra monarchia e repubblica, Vittorio Emanuele III abdicò e si trasferì in Egitto con la regina Elena. Il presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, chiese al nuovo re Umberto II di ritirarsi a Castel Porziano: la sera del 12 lasciò il Quirinale, pertanto la monarchia fu dichiarata decaduta dall’indomani. Il 18 giugno 1946 l’Italia venne proclamata Repubblica, con effetto retroattivo dal 2 giugno.

Posto di fronte alle alternative tra dichiarare il Governo decaduto e costituirne uno nuovo, non tener conto del colpo di Stato del Governo e rimanere a Roma fino al giudizio della Cassazione, emanare un proclama denunciando l’usurpazione e appellandosi al popolo o lasciare l’Italia senza abdicazione né passaggio di poteri, re Umberto II scelse la quarta possibilità, per non assumersi la responsabilità di un’altra guerra civile e, dunque, di essere causa di un ulteriore spargimento di sangue.

Alle 16.07 di giovedì 13 giugno 1946 partì dall’aeroporto di Ciampino, salutato dagli ultimi che gli erano rimasti fedeli. Il suo regno era durato dal 9 maggio al 2 giugno, 23 giorni appena. Più tardi dichiarò, durante il pranzo offerto in suo onore a Barcellona: «Certo, in quelle ore non potevo essere brillante, da che – perché non dirlo? – durante quell’agitato viaggio, per religioso ch’io sia, avevo invocato la morte».

Quando giunse a Lisbona venne accompagnato a Colares, nei pressi della città di Cintra, dove la duchessa di Cadaval aveva messo a disposizione una sua proprietà. Là Umberto II trovò Maria José e i bambini. Si sistemarono quindi a Cascais, sulla Costa del Sol, a circa 30 chilometri da Lisbona.

Lo stile di vita assunto da Umberto aveva quasi dell’eremitico: non andava mai nei ristoranti eleganti, ma cercava trattorie e pizzerie. Tutto nella continua ricerca della modestia, della preghiera, della mortificazione.

Dopo un solo anno, fu abbandonato anche dalla moglie, che portò con sé Vittorio a Merlinge, nei pressi di Ginevra. Con Umberto rimasero le tre figlie Maria Pia, Maria Gabriella e Maria Beatrice. Quando anche le figlie se ne andarono, il vuoto più completo lo circondò.

La salute iniziò a tradirlo quando stava per compiere i sessant’anni. Nell’aprile del 1964 venne ricoverato in una clinica di Londra senza avvertire nessun familiare. Si trattava di cancro, più precisamente di un mieloma osseo.

L’anno dopo Umberto venne ricoverato a Lisbona a causa di un incidente automobilistico. Il 1968 fu l’anno del secondo intervento a Parigi. Non si lamentò neppure quando il male lo divorava nelle fibre e nelle forze.

Nel maggio del 1982 incontrò san Giovanni Paolo II a Lisbona, durante il suo viaggio apostolico in Portogallo, per donare alla Santa Sede la Sacra Sindone, che per secoli fu proprietà di Casa Savoia.

Al ritorno da un viaggio a Londra, fu ricoverato all’Ospedale Cantonale di Ginevra, dove il 18 marzo del 1983 si spense, all’età di 79 anni. Morì con la parola Italia sulle labbra. Per le sue esequie, svoltesi sotto una pioggia battente, ad Hautecombe, vicino ad Aix-les-Bains nell’Alta Savoia, erano presenti diecimila persone, ma neppure un ministro italiano.

Umberto II ha voluto che, nella propria bara, fosse riposto il sigillo reale: in tal modo si ritiene che egli abbia inteso esplicitamente distinguere i suoi eredi dinastici da quelli civili. Il 24 marzo la sua salma trovò dimora nell’Abbazia di Hautecombe o Altacomba, in Savoia.

Fra le carte di Re Umberto rinvenute a Cascais, nei cassetti della sua scrivania, sarà trovato un foglio scritto di suo pugno. Una citazione di una lettera di san Paolo ai Corinti, ricopiata in latino e tradotta subito dopo in italiano:

«Mihi autem pro minimo est ut a vobis iudicer (aut ab humano die). Sed neque meipsum iudico. Nihil enim mihi conscius sum: sed non in hoc iusticatus sum; qui autem iudicat me, Dominus est», ossia «Poco importa a me d’essere giudicato da voi (o da un tribunale di uomini)… né mi giudico da me stesso, poiché non ho coscienza di aver commesso alcunché; ma non per questo sono giustificato: mio giudice è il Signore».

 

Riepilogo

Fino ad oggi la Chiesa ha beatificato ufficialmente 6 esponenti di Casa Savoia:

 

Beato Umberto III di Savoia, conte di Savoia

(Avigliana, Torino, 1136 – Chambéry, Savoia, 4 marzo 1188)

Beatificazione: Gregorio XVI, 1° settembre 1838

Martyrologium Romanum: 4 marzo

 

Beato Bonifacio di Savoia, Monaco certosino e arcivescovo di Canterbury

(Sainte-Hélène-du-Lac, Savoia, 1207 – 4 luglio 1270)

Beatificazione: Gregorio XVI, 1° settembre 1838

Martyrologium Romanum: 4 luglio

 

Beata Margherita di Savoia, Marchesa del Monferrato, Monaca domenicana

(Pinerolo, Torino, 1390 – Alba, Cuneo, 23 novembre 1464 )

Beatificazione: Clemente IX, 9 ottobre 1669

Martyrologium Romanum: 23 novembre

 

Beato Amedeo IX di Savoia, Duca di Savoia, Terziario francescano

(Thonon, Savoia, 1° febbraio 1435 – Vercelli, 30 marzo 1472)

Beatificazione: Innocenzo XI, 3 marzo 1677

Martyrologium Romanum: 30 marzo

 

Beata Ludovica di Savoia,

(Bourg-en-Bresse, Francia, 28 luglio 1462 – Orbe, Svizzera, 24 luglio 1503)

Beatificazione: Gregorio XVI, 1839

Martyrologium Romanum: 24 luglio

 

Beata Maria Cristina di Savoia, Regina della Due Sicilie

(Cagliari, 14 novembre 1812 – Napoli, 31 gennaio 1836)

Beatificazione: Francesco, 25 gennaio 2014

Festa liturgica: 31 gennaio

 

Nell’Index ac status causarum risultano in corso le cause di:

 

Venerabile Maria Clotilde di Borbone, Regina di Sardegna, Terziaria domenicana

(Versailles, 23 settembre 1759 – Napoli, 7 marzo 1802

Fu sorella del Re martire Luigi XVI di Francia e moglie di Carlo Emanuele IV di Savoia, Re di Sardegna

Decreto sulle virtù eroiche: San Giovanni Paolo II, 11 febbraio 1982

 

Serva di Dio Maria Clotilde di Savoia, Principessa reale d’Italia, Principessa imperiale di Francia, Terziaria domenicana

(Torino, 2 marzo 1843 – Moncalieri, Torino, 25 giugno 1911)

Introduzione causa: 10 luglio 1942

 

Sono inoltre ricordati con il titolo di Venerabile altri quattro personaggi, due fratelli e due sorelle:

 

Venerabili Pietro e Giovanni di Savoia [1], Monaci a Sant’Antonio di Ranverso, fratelli del Beato Umberto III

 

Venerabile Maria Apollonia di Savoia, Terziaria Francescana

(Torino, 9 febbraio 1594 – Roma, 13 luglio 1656)

Venerabile: Gregorio XVI, 1° settembre 1838

 

Venerabile Francesca  Caterina di Savoia, Terziaria Francescana, Fondatrice delle Figlie di Maria di Oropa

(Torino, 5 ottobre 1595 – Biella, 20 ottobre 1640)

Venerabile: Gregorio XVI, 1° settembre 1838

 

È talvolta considerata “Beata”:

 

Adelaide di Susa, Contessa di Savoia, moglie del conte Oddone di Savoia [2]

 

L’Ordine Mercedario annovera fra i suoi santi questi due personaggi la cui identità non è ben definita:

 

Girolamo Carmelo di Savoia, chiamato San Carmelo (+ 1558), Mercedario, veggente, vescovo [3].

 

Beato Lucio di Savoia (+ 1470), Martire mercedario [4].

 

La Chiesa Ortodossa venera:

 

Sant’Anna Paleologina (Giovanna di Savoia) (1306-1365) Imperatrice bizantina [5].

Non mancano numerosi esponenti di Casa Savoia morti in concetto di santità, dei quali però non è ad oggi iniziato un processo di beatificazione e canonizzazione:

 

Amedeo III conte di Savoia, detto il Crociato (1087-1148)[6]. Il soprannome è dovuto alla sua partecipazione alle guerre in Terrasanta, chiamato alle armi da papa Callisto II, suo parente, dal quale ricevette in dono il simbolo che utilizzò nel blasone. Il crociato fu il primo ad assumere il titolo di Conte di Savoia. Fondò l’Abbazia di Altacomba, dove poi per secoli verranno sepolti i membri di Casa Savoia. Partecipò alla II Crociata, guidando con il conte Geoffroy di Rancogne l’avanguardia delle truppe in Anatolia. Morì a Nicosia, nell’isola di Cipro, di un male mai ben spiegato, nel corso della crociata stessa e fu ivi sepolto nella chiesa locale della Santa Croce. Fra i suoi dieci figli si ricorda Mafalda (1125-1157).

 

Margherita di Savoia (+ 1157), figlia di Amedeo III, monaca cistercense nel monastero di Bons[7].

 

Mafalda (Matilde) di Savoia (1125-1157), Regina del Portogallo, figlia di Amedeo III, moglie di Alfonso I, primo re del Portogallo.

 

Margherita di Savoia (1295-1339), Marchesa del Monferrato, figlia di Amedeo V, moglie di Giovanni I del Monferrato [8].

 

Cardinale Amedeo di Savoia (1383-1451), figlio del cosiddetto “Conte Rosso” Amedeo VII di Savoia, dal quale ereditò il titolo comitale nel 1391. Nel 1401 sposò Maria di Borgogna, dalla quale ebbe sei figli. Nel 1405 fondò l’università di Torino. Nel 1416 venne incoronato primo Duca di Savoia dall’imperatore Sigismondo. Promulgò in seguito gli Statuta Sabaudiae, vero e proprio codice comprendente le leggi dei suoi Stati. Nel 1434 si ritirò a Ripaglia, sul Lago di Ginevra, fondando l’Ordine di San Maurizio. Il 5 novembre 1439 il Concilio di Basilea lo elesse antipapa ed egli assunse il nome di Felice V, abdicando dunque alla corona sabauda. Nel 1449 rinunciò alla tiara ristabilendo così l’unità della Chiesa compromessa da parecchi anni. Il nuovo Pontefice Niccolò V lo ricompensò allora nominandolo Cardinale il 7 aprile 1449, in qualità di vescovo titolare di Sabina e nunzio apostolico per tutti gli stati di Casa Savoia e per la Svizzera, nonché per altre importanti diocesi quali per esempio Basilea e Strasburgo. Morì a Ginevra il 7 gennaio 1451 e fu sepolto nella chiesa del castello di Ripaglia. La devozione popolare sviluppatasi attorno alla sua tomba attribuì alla sua intercessione numerose guarigioni miracolose. I pellegrinaggi continuarono sino a quando i calvinisti bernesi occuparono la zona e distrussero la sua tomba. Oggi i resti del duca riposano a Torino nella Cappella della Sindone adiacente al duomo cittadino[9].

 

Isabella di Savoia (1591-1626), figlia di Carlo Emanuele I, moglie di Alfonso II d’Este (futuro Duca di Modena e Reggio) [10]

 

Antonio di Savoia (?-1688), figlio di Carlo Emanuele I, abate di Hautecombe, talvolta detto “Beato” [11]

 

Maria Adelaide di Savoia (1685-1712), Delfina di Francia, figlia di Vittorio Amedeo II, madre di Luigi XV [12].

 

Maria Luisa Gabriella di Savoia (1688-1714), Regina di Spagna, figlia di Vittorio Amedeo II, moglie di Filippo V [13].

 

Maria Teresa Luisa di Savoia-Carignano (1749-1792), Principessa di Lamballe, Martire [14].

 

Carlo Emanuele IV di Savoia (1751-1819), Re di Sardegna, terziario domenicano, novizio gesuita, marito della Venerabile Maria Clotilde di Borbone [15].

 

Carlo Alberto di Savoia (1798-1849) Re di Sardegna [16].

 

Maria Teresa d’Asburgo-Toscana (1801-1855) Regina di Sardegna, moglie di Re Carlo Alberto [17].

 

Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena (1822-1855) Regina di Sardegna, moglie di Vittorio Emanuele II [18].

 

Amedeo di Savoia (1845-1890) e Maria Vittoria Dal Pozzo della Cisterna (1847-1876) Duchi d’Aosta e sovrani di Spagna [19]

 

Amedeo di Savoia (1898-1942) Duca d’Aosta, Viceré d’Etiopia [20]

 

Elena di Savoia (Jelena Petrovic Njégos) (1873-1952) Regina d’Italia e d’Albania, Imperatrice d’Etiopia [21].

 

Giovanna di Savoia (1907-2000) Regina di Bulgaria, terziaria francescana, sepolta nel cimitero di Assini, nella cappella dei Francescani [22].

 

Mafalda di Savoia (1902-1944) Langravia d’Assia. Morì nel lager di Buchenwald[23].

 

Umberto II di Savoia (1904-1983), ultimo Re d’Italia [24].

 

«Ma questa è una famiglia di Santi»[25] dichiarò Gregorio XVI (1765-1846), il Pontefice che beatificò Umberto, Bonifacio e Ludovica di Savoia, «sotto il felice regno del religiosissimo nostro Re»[26], Carlo Alberto.

 

[1] Collezione di buoni libri a favore della Religione Cattolica Vita de’ Beati Umberto e Bonifacio di Savoia

Torino, Tipografia dir. da P. De Agostini 1853, p. 37.

[2] http://www.santiebeati.it/Detailed/92629.html

[3] http://santiebeati.it/dettaglio/93959

[4] http://santiebeati.it/dettaglio/93695

[5] http://santiebeati.it/dettaglio/72615

[6] «Amedeo III, morto lungi dagli Stati suoi per difendere la Croce», inoltre «ebbero fama di santità Pietro e Giovanni, monaci nel monastero di Sant’Antonio di Ranverso, figlioli anch’essi di Amedeo III, e la loro sorella Margherita che prese il velo dell’Ordine Cistercense nel monastero di Bons da essa fondato». In: Collezione di buoni libri a favore della Religione Cattolica, Vita de’ Beati Umberto e Bonifacio di Savoia Tipografia dir. da P. De Agostini, Torino 1853, p. 37.

[7] Ivi, p. 37.

[8] Abbreviata serie d’alcuni heroi della real casa di Savoia segnalati nelle degne attioni temporali, e spirituali: raccolta dal R.P. Pasquale Codreto da Sospello, Lettore, Predicatore generale, Padre di Provincia, de’ Minori Osservanti, Mondovì Giovanni Gislandi, 1655.

[9] http://www.santiebeati.it/dettaglio/90187

[10] Annotationi della vita, e morte della Serenissima Infanta duchessa di Modana, e Reggio, etc., figlia dell’invitissimo Gran Carlo Emanuele duca di Savoia, descritte dal R.P. Pasquale Codretto da Sospello de’ Minori Osservanti, Lettore, Predicatore generale e Padre di Provincia, sotto il patrocinio del Serenissimo Prencipe Mauritio di Savoia, Giovanni Gisland, e Giovanni Francesco Rossi, Mondovì 1654.

[11] http://archiviodistatotorino.beniculturali.it/work/docdtl.php?did=5317&nsid=5279

[12] Cristina Siccardi La direzione spirituale di Padre Sebastiano Valfré in Casa Savoia in Annales Oratorii. III centenario B. Sebastiano Valfrè 1710-2010, Anno 2009 Fascicolo 8.

[13] Ibidem.

[14] http://www.santiebeati.it/dettaglio/93520

[15] http://www.santiebeati.it/Detailed/95701.html

Padre Celestino Testore SJ gli dedicò un capitolo nel suo libro Beati e Venerabili di Casa Savoia, Roberto Berruti e C., Torino 1928.

[16] http://www.santiebeati.it/dettaglio/96159

[17] http://www.treccani.it/enciclopedia/maria-teresa-d-asburgo-lorena-regina-di-sardegna_%28Enciclopedia-Italiana%29/

[18] http://www.treccani.it/enciclopedia/maria-adelaide-di-asburgo-lorena-regina-di-sardegna_%28Enciclopedia-Italiana%29/

[19] http://www.santiebeati.it/dettaglio/93538

[20] http://www.santiebeati.it/dettaglio/95321

[21] http://www.santiebeati.it/dettaglio/48350

[22] http://www.santiebeati.it/dettaglio/94391

[23] http://www.santiebeati.it/dettaglio/94533

[24] http://www.santiebeati.it/dettaglio/95296

[25] Collezione di buoni libri, op. cit., p. 37.

[26] Ivi, p. 36.

 

(2 – fine)

 

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4 commenti su “Figure contemporanee di Casa Savoia, testimoni esemplari di Fede / seconda parte”

  1. Grazie, Cristina, per questi tuoi lucidi ed informati interventi, che permettono, oltre al resto, di sfatare alcuni beceri e squallidi luoghi comuni sugli ultimi Sovrani d’Italia; luoghi comuni diffusi ad arte da una propaganda rozza e demenziale.

  2. Massimo rispetto per S.A.R. il Duca d’Aosta e suo zio Luigi.
    Mi capita ogni tanto di pensare a S.A.R. a Nyeri, a due passi da un’altra tomba, una semplice lapide con su inciso un cerchio con un punto al centro. non un segno massonico, un “segno di pista” dei cacciatori ed esploratori, che significa “il percorso finisce qui”..
    Penso che a volte nella notte africana, le loro ossa battano con i segni dei tamburi, per comunicarsi lo sconforto di come si comportano i cittadini Italiani, come si è ridotto l’Impero etiopico che stava fiorendo e i ragazzi del mondo che stanno vivendo una educazione meno che sommaria

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