I Santi sovrani di Danimarca e delle Fiandre

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Canuto IV, re di Danimarca, detto «il Santo»

 

Il re di Danimarca Knud IV, noto come Canuto il Santo, ambì al trono d’Inghilterra, ritenendosi legittimo erede di Canuto il Grande che fino al 1035 era stato re d’Inghilterra, Danimarca e Norvegia. Nato in Danimarca nel 1040 circa come figlio illegittimo di Sweyn II Estridsson, succedette al fratellastro Harald III, ricevendo la corona danese nel 1080, dimostrandosi immediatamente favorevole all’approvazione di nuove leggi in appoggio alla neonata chiesa del suo Paese.  Istituì una sorta di sostentamento del clero e trasferì gran parte del potere dai conti ai vescovi, che furono in tal senso investiti di cariche temporali.  Si fece promotore della costruzione di numerose chiese ed elargì donazioni per la fondazione di nuovi monasteri da parte di missionari inglesi. Campione della Chiesa, emise leggi a favore dei deboli, degli orfani, delle vedove e dei forestieri e cercò di imporre la riscossione di tributi; ma tale politica condusse allo scontento i suoi sudditi, che non erano usi ad un re che reclamasse tali poteri.

Egli si unì in matrimonio ad Adelaide delle Fiandre, figlia di Roberto I delle Fiandre, ed ebbero un figlio, Carlo il Buono, che diventerà conte di Fiandra e anche lui sarà innalzato all’onore degli altari come il padre.

Canuto IV considerava illegittima l’occupazione dell’Inghilterra da parte dei Normanni, in tal senso tentò più volte di attaccare Guglielmo il Conquistatore, che riteneva usurpatore della corona inglese. Fra il 1069 e il 1070 si recò con una flotta vichinga in soccorso dei ribelli inglesi e cinque anni più tardi collaborò ad un’incursione su York, ma senza conseguenze visto che la rivolta inglese fallì. Nel 1085, appoggiato dal suocero, conte Roberto di Fiandra, pianificò l’invasione dell’Inghilterra. Convocò quindi una flotta a Limfjord, ma essa non fu mai in grado di salpare: forse Canuto temeva l’intervento dell’imperatore Enrico IV, con il quale sia le Fiandre che la Danimarca non erano mai state in buoni rapporti; inoltre gli mancò l’appoggio dei conti che aveva spodestato e ai quali aveva richiesto le imposte. Nutriva anche forti sospetti sul fratello Olaf, che gli succederà sul trono danese, il quale pretendeva il comando della flotta. Il sovrano lo fece arrestare e portare nelle Fiandre. La flotta si sciolse e non si ricompose più.

Il sovrano lo fece arrestare e portare nelle Fiandre. La flotta si sciolse e non si ricompose più. Secondo Niels Lund, assistente di Storia Medievale all’Università di Copenaghen, la mancata invasione dell’Inghilterra da parte di Canuto: «segnò la fine dell’era vichinga». (Niels Lund, The Oxford Illustrated History of the Vikings, Ed. Peter Sawyer. Oxford University Press, New York, 1997. Chapter Seven: “The Danish Empire and the End of the Viking Age”. pp. 181 e segg.)

A motivo della pressione fiscale una rivolta scoppiò agli inizi del 1086 nel sud dello Jutland, proprio dove risiedeva Canuto. Cercò rifugio con il suo seguito nella chiesa di Sant’Albano ad Odense, ma i ribelli irruppero nell’edificio sacro il 10 luglio 1086 e trucidarono il re davanti all’altare, dopo che egli aveva ricevuto la Comunione, con lui perirono il fratello Benedikt e altri uomini del suo seguito.

I ribelli si opponevano indirettamente alle sue politiche filo-ecclesiastiche ed è per tale motivo che la Chiesa ha subito parlato di martirio ed è iniziata immediatamente la devozione per la sua persona, anche a causa dei miracoli che si verificavano alla sua tomba. Nel 1101, a seguito delle pressioni degl’inviati del re di Danimarca Eric III, papa Pasquale II confermò il culto di san Canuto.

Nel nuovo Martirologio Romano san Canuto è descritto, nel giorno della sua memoria, il 10 luglio, con le seguenti parole: «A Odense, in Danimarca, ricordo di S. Canuto (Knut), martire, che, re infiammato di passione, durante il suo regno difese e diffuse il culto divino, contribuì al sostentamento del clero, finché, fondate le Chiese di Lund e di Odense, venne ucciso per la sua politica favorevole alla Chiesa da alcuni sudditi ribelli». (Fabio Arduino, San Canuto IV Re di Danimarca, santiebeati.it). Nel Messale  del 1962 il suo nome è riportato al 19 gennaio.

Nel 1300 i resti del suo corpo e quelli del fratello furono trasferiti nella Cattedrale di San Canuto, ad Odense.

 

La tomba del re Canuto nella cattedrale di San Canuto ad Odense, Danimarca

 

Carlo I di Fiandra, detto «il Buono»

 

Secondo il Cartulaire de l’Abbaye de Saint-Bertin (doc. XCII, p. 288), Carlo, nato nel 1083/1084 circa,  conte di Amiens e conte di Fiandra dal 1119 alla sua morte, era il quartogenito del re di Danimarca, Canuto IV il Santo e di Adelaide di Fiandra, che sempre secondo il documento citato, era la figlia primogenita del conte delle Fiandre, Roberto I il Frisone e di Gertrude Billung di Sassonia, figlia, sia secondo la Genealogica Comitum Flandriæ Bertiniana che secondo la Genealogia ex stirpe Sancti Arnulfi descendentium Mettensis, di Bernardo II di Sassonia[1] e di Eilika di Schweinfurt[2].

Canuto IV il Santo, secondo il Saxo Grammaticus: Gesta Danorum era figlio illegittimo del Re di Danimarca, Sweyn II Estridsson Ulfsson[3], che, secondo le Adami, Gesta Hammenburgensis Ecclesiæ Pontificum II, era il figlio di Ulf Thorgilsson, Jarl danese e duca d’Anglia (con Canuto il Grande in Inghilterra) e di Estrid Svendsdatter, che ancora secondo le Adami, era sorella del re d’Inghilterra e re di Danimarca, Canuto il Grande, quindi figlia del re d’Inghilterra, re di Danimarca e re di Norvegia, Sweyn I di Danimarca.

Il 5 ottobre del 1111 Roberto II morì, gli succedette il figlio Baldovino e Carlo fu stretto consigliere di questo cugino, divenuto Baldovino VII, conte di Fiandra. Carlo, che non ebbe discendenza, divenne conte di Amiens, dopo aver sposato Margherita di Clermont unica erede della contea di Amiens tra il 1118 ed il 1119.

Nel 1111 Roberto II morì, come confermano gli Annales Blandinienses[4]: Roberto II, si era unito all’esercito reale che si dirigeva contro Meaux, dove si era ritirato il conte di Blois, di Chartres, di Meaux e di Châteaudun, signore di Sancerre e Amboise, conte di Troyes e conte di Champagne, Tebaldo II che, dal 1108, era in rivolta insieme ad altri baroni francesi contro il re di Francia, Luigi VI il Grosso, ma, in una strettoia, vicino alla città, Roberto cadde dal suo cavallo e finì sotto le zampe della cavalleria e, secondo il cronista e monaco benedettino dell’abbazia di Malmesbury, nel Wiltshire (Wessex), Guglielmo di Malmesbury, morì poco dopo, il 5 ottobre 1111, per le ferite riportate. Gli succedette il figlio Baldovino. Carlo fu stretto consigliere del cugino, Baldovino VII, conte di Fiandra. Nel 1115, secondo il Sigeberti Continuatio Valcellensis Baldovino VII donò a suo cugino Carlo di Danimarca il castello di Encres. Carlo, che non ebbe discendenza, divenne conte di Amiens, dopo aver sposato Margherita di Clermont unica erede della contea di Amiens tra il 1118 ed il 1119, come ci conferma la Vita Karoli Comitis Flandriæ.

Baldovino della Hache, non avendo figli lasciò in eredità la contea a Carlo a scapito di Guglielmo d’Ypres, anch’egli cugino primo. La linea di carità e di giustizia di stampo cristiano che lo contraddistinsero fecero sì che, al momento della sua ascesa al trono, nel 1119, Carlo era già considerato un padre ed un protettore del popolo.

Tuttavia la contessa Clemenza, madre del defunto Baldovino, favorevole a Guglielmo d’Ypres, organizzò una lega di principi che dichiararono guerra al giovane Carlo, ma egli vinse i nemici. In qualità di conte di Amiens e di vassallo del re di Francia, poté venire in soccorso di quest’ultimo quando l’imperatore Carlo V invase la Champagne nel 1123. Ciò permise che il nome di Carlo il Buono divenisse temibile fra gli stranieri.

A questo punto il sovrano si impegnò a stabilire pace e giustizia nei suoi Stati. Proclamò la «tregua di Dio», al fine di vietare ai suoi sudditi l’uso delle armi per porre fine alle frequenti risse. Puntò molto sull’esempio: semplice e modesto nei suoi atteggiamenti, praticò un’austerità tipica dei religiosi. Nemico del fasto, ridusse i propri dipendenti al fine di diminuire le imposte del popolo ed aumentò lo stipendio ai proprio fattori. Pieno di sollecitudine verso i poveri, arrivava addirittura a privarsi dei propri vestiti per donarli a loro. Era solito restare a piedi nudi in segno di devozione nel compiere i suoi quotidiani atti di carità.

Carlo protesse sempre sia i sacerdoti secolari che i monaci. Ogni sera si faceva spiegare alcuni passi biblici da tre dottori in teologia. Stabilì che tutti i condannati a morte dovessero confessarsi e dovessero ricevere la Comunione il giorno precedente l’esecuzione della pena.

Quando nel 1125 una terribile carestia colpì le Fiandre e la Piccardia, Carlo si adoperò con la sua munifica carità: fece distribuire il pane e provvide affinché il grano non fosse immagazzinato e rivenduto a prezzi maggiorati; ogni giorno sfamò poveri di Bruges e dei suoi castelli. Così come, quotidianamente, provvedeva a vestire cinque poveri, allo stesso tempo esigeva moralità nelle sue terre. Il suo appellativo di «Buono» è dovuto alla protezione, alle attenzioni, alla cura che sempre ebbe nei confronti dei deboli e dei bisognosi. La sua fama condusse alcuni a proporlo al trono del Sacro Romano Impero, poiché nel 1125 era deceduto l’imperatore Enrico V di Franconia. L’Arcivescovo di Colonia, Federico I di Schwarzenburg, fece il nome di Carlo il Buono. Solo alcuni dei suoi consiglieri erano propensi nell’accettare lo scettro imperiale, poiché la maggioranza temeva di perdere il padre delle Fiandre. Fu così che Carlo, per amore paterno nei confronti del suo popolo, decise di declinare l’invito e per lo stesso motivo rinunciò alla corona di Gerusalemme che gli fu offerta quando Baldovino fu imprigionato dai turchi.

Il suo appellativo è dovuto alla protezione, alle attenzioni, alla carità che sempre ebbe nei confronti dei poveri e dei bisognosi: in tempo di carestia fece distribuire il pane e si adoperò affinché il grano non fosse immagazzinato e rivenduto a prezzi maggiorati.

La sua politica lo mise in contrapposizione con la potente famiglia degli Erembaldi, che pianificarono una congiura per ucciderlo insieme ai suoi consiglieri. Il 2 marzo 1127, mentre Carlo era assorto in preghiera nella chiesa di Saint-Donatien a Bruges –  collegata al palazzo di abitazione del conte – fu raggiunto da un gruppo di congiurati fedeli agli Erembaldi, che lo uccisero con le loro spade. Secondo Galbert de Bruges, nel suo Histoire du meurtre de Charles Bon, Cte de Flandre, lascia intendere la possibilità che Guglielmo d’Ypres, pretendente alla contea, potesse essere implicato nella congiura.  La morte di Carlo viene registrata anche da Orderico Vitale e dal Cartulaire de l’Abbaye de Saint-Bertin, che riporta che il conte fu ucciso, durante la Messa, mentre porgeva il suo obolo.

Il suo corpo fu sepolto provvisoriamente nel luogo dell’assassinio, ma senza alcuna solennità poiché quello stesso luogo era stato violato dal sacrilegio dell’omicidio. Quindi la cerimonia funebre si tenne fra le mura della città, nella chiesa di Saint-Pierre. L’efferato atto criminale provocò una sollevazione di massa. Il re di Francia, Luigi il Grosso, chiamato in Fiandra dai baroni, vendicò il martirio del parente punendo gli assassini secondo la giustizia della legge e l’intera famiglia degli Erembaldi venne radiata dall’elenco dei nobili di Bruges e Ghent.

Dopo alcune settimane il corpo di Carlo il Buono fu riesumato e trovato incorrotto. Fu traslato nella chiesa di Saint-Christophe e dopo il 25 aprile, con la riconsacrazione della chiesa, fece ritorno a Saint-Donatien. In seguito le sue reliquie entrarono a far parte del tesoro della cattedrale di Bruges.

Carlo I il Buono, fin dal giorno della sua morte, fu acclamato come martire e santo. Sarà beatificato più di 700 anni dopo da Leone XIII, nel 1884.

Il nuovo Martyrologium Romanum lo ricorda il 2 marzo con queste parole: «A Brughes, in Fiandra, ricordo del Beato Carlo il Buono, martire che, principe di Danimarca e in seguito conte di Fiandra, visse custodendo la giustizia e difendendo i poveri, finché venne ucciso da uomini d’arme che egli aveva cercato di pacificare».

 

[1]Monumenta Germanica Historica, tomus IX, Genealogica Comitum Flandriae Bertiniana, p. 306, colonna II; Monumenta Germanica Historica, tomus XXV, Genealogia ex stirpe Sancti Arnulfi descendentium Mettensis, § 7, p. 384.

[2] Monumenta Germanica Historica, tomus VI, Annalista Saxo, anno 1059, p. 692.

[3] Saxo Grammaticus: Gesta Danorum, liber 11, caput 7, §. 1.

[4] Monumenta Germaniae Historica, Scriptores, tomus V, Annales Blandinienses, anno 1111, p. 27.

 

 

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