Il Vangelo secondo noi tutti

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Nel suo nuovo, avvincente libro dal titolo «Il Vangelo secondo me», Rino Cammilleri scruta i Vangeli centimetro per centimetro, ma non con l’occhio dell’esperto, bensì con quello dell’uomo della strada, dal momento che la Buona Novella non è per pochi ma per tutti. Si pone diecine di domande e trova una risposta per ognuna di esse. Da leggere. di Luciano Garibaldi. 

Quante volte ci siamo chiesti qual è il vero significato di certe situazioni descritte nei Vangeli? Che cosa significa che “l’uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio”? E quante volte abbiamo rinunciato ad approfondire i nostri dubbi per il timore di passare per miscredenti se non per atei? Fino ad oggi non c’è mai stato un maestro di scuola capace di parlare ai nostri figli e nipoti, ma anche a noi, dei Vangeli con un linguaggio elementare, in grado di rispondere a tutte le nostre domande, anche a quelle che all’apparenza potrebbero sembrare puerili o provocatorie.

Ci ha provato Rino Cammilleri, uno scrittore molto apprezzato e molto seguìto non soltanto nell’ambiente cattolico, con un libro destinato a lasciare il segno nella cultura e anche nella fede cattolica. Il libro s’intitola «Il Vangelo secondo me», è edito da “La Fontana di Siloe”, consta di 290 pagine e costa 21 euro: i soldi in assoluto meglio spesi per chiunque, nato e cresciuto cattolico, si sia lentamente allontanato dall’esercizio della fede proprio per non avere trovato una risposta alle tante domande che, con il passare degli anni, lo hanno assillato.

Per comprendere a fondo il messaggio contenuto nelle pagine di Cammilleri, nulla di meglio che riprodurre questo importante brano tratto dal “prologo” del volume, che ci fa comprendere come l’Autore non sia diverso da tutti noi, ma anzi, ci rappresenti in maniera totale.

«Leggendo questo libro molti si chiederanno se davvero io meriti l’appellativo mediatico di “scrittore cattolico” e molti di più si domanderanno se davvero io abbia, poi, tutta questa fede. A mia parziale giustificazione dirò che, a ben scrutare, non si troverà un solo rigo, fra i miliardi di parole che ho fin qui vergato, nel quale io millanti una fede al quarzo. Mi è ben chiaro che, in un mondo di ciechi, un guercio miope e astigmatico qualcosa pur vede, ed è per questo che, essendomi sempre e solo occupato di argomenti cattolici, qualcuno ha finito per confondere la causa con l’effetto e ha scambiato per risposta quella che era più che altro una domanda. Il fatto è che non so nemmeno io se ci credo davvero oppure no. Certo, sull’ideologia cattolica non ho incertezze, non avendo mai trovato di meglio (ed essendo andato sempre più convincendomi che di meglio non ho trovato perché non c’è). Ma la fede è un’altra cosa. Ho scritto questo libro proprio perché i lettori convinti che io l’abbia, la fede, smettano di crederlo e, semmai, preghino perché io finalmente l’abbia. Ciò nell’interesse di tutti, perché sono sicuro che uno “scrittore cattolico” provvisto di fede scriverebbe cose più strepitose di uno che ne sia sprovvisto o l’abbia flebile e sofferta.

«Questo è un libro di domande, non di risposte. E pazienza per quelli che, sperando in risposte e trovando domande, chiederanno indietro il prezzo di copertina.  Lo dedico anche a tutti i miei non-lettori, in particolare a quelli che tali non sono non solo perché non interessati a quel che scrivo e/o a come lo scrivo, ma anche perché lontani da qualunque cosa olezzi anche solo vagamente di religione.

«Tra questi mi sono più cari quelli che “coltivano il dubbio”, perché mi fanno tenerezza. Poverini, uno che venisse pescato a innaffiare amorevolmente erbacce verrebbe segnalato alla più vicina unità sanitaria mentale; a uno che allevasse, per cibarsene, piante velenose, sarebbe impedito di continuare a recarsi nocumento. Sì, perché i dubbi rendono infelici (le persone normali), la verità cercata e non trovata provoca angoscia, il non sapere perché si è al mondo è il dolore più grande che ci sia. “Coltivare il dubbio” è una posa da salotto chic, al massimo può aprire carriere. Ma la carriera prima o poi termina, e non si può vivere sempre in salotto perché prima o poi bisogna andare almeno in bagno. No, l’unica cosa sensata che una persona non schiava della vanità e dell’ambizione può fare è “coltivare la verità”. E coltivare qui ha lo stesso significato che tale verbo ha per il contadino: implica fatica, spezzarsi le ossa da mane a sera al sole e alla pioggia, scavare, dissodare, arare, seminare, irrigare, attendere, sperare, avere pazienza, consigliarsi,  studiare tecniche vecchie e nuove, pregare. Sì, pregare – come facevano i contadini di una volta – che la pianta cresca dritta e rigogliosa, pregare i santi “del ghiaccio” e “del gran secco”, che scampino dalle intemperie e dalle calamità, sennò è la fame. Pregare il vero “padrone della messe”, perché è l’unico che sa come stanno realmente le cose dal momento che le ha fatte lui. Altrimenti si mangiano dubbi, e i dubbi in qualche caso possono anche riempire il portafogli ma nient’altro.

«Poiché tutti quanti, dubbio o non dubbio, dobbiamo lasciare, chi prima e chi dopo, questo mondo, cari “coltivatori del boh”, non spregiate queste pagine ma leggetele. Scoprirete che quel che per voi è un vezzo ameno per altri è un dramma esistenziale coi controfiocchi. Magari vi accorgerete che è questo l’unico “dubbio” serio sotto il cielo degli uomini».

Per comprendere a fondo il valore del nuovo libro di Cammilleri, leggiamo ancora alcune righe di un altro brano dedicato ad una delle pagine centrali del Vangelo: quella in cui Gesù dice a chiare lettere che chi vuole salvarsi deve mangiare il suo corpo e bere il suo sangue.

«Agli ebrei», nota in proposito Cammilleri, «ieri come oggi era vietatissimo cibarsi delle carni di certi animali, e quelli permessi dovevano essere rigorosamente dissanguati. Mangiare carne umana e bere sangue umano era per loro semplicemente folle. I cadaveri, poi, non si poteva toccarli per non doversi sottoporre a estenuanti purificazioni successive. Figurarsi addentarli».

E torna a ricostruire il clima della pagina evangelica: «Coerentemente, visto che Gesù non si decide a spiegarsi meglio, parecchi se ne vanno (“Da quel momento molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andarono più con lui”). Rimangono, tra l’interdetto e lo sbigottito, gli apostoli. Gesù, con la massima tranquillità, li apostrofa: “Volete forse andarvene anche voi?”. Notevole la risposta del portavoce Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”».

E leggiamo, ancora, la conclusione di Cammilleri, assolutamente da condividere: «Eccoci in fila dietro Simon Pietro, e restiamo, Gesù, perché sei l’unica speranza, restiamo per esclusione, perché le altre prospettive proposteci sono tutte vicoli ciechi che non portano in nessun posto. Tu solo hai parole di vita eterna, e non solo parole. Nessun altro, fra quanti hanno offerto alternative, si è fatto ammazzare per darci la prova irrefutabile che quanto diceva era vero. Sostieni la nostra poca, povera fede, perché, anche spremendoci, più che restare con te, pur non capendoci niente, non riusciamo a fare».

Ancora due parole, per comprendere il livello della competenza di Rino Cammilleri in materia religiosa. Scrive su «Il Giornale», «Il Timone» e «La Nuova Bussola Quotidiana». Ha pubblicato una quarantina di libri con i maggiori editori nazionali, tra cui Il quadrato magico (Rizzoli), Le lacrime di Maria (Mondadori), Doveroso elogio degli italiani (Bur), Dio è cattolico? (Lindau), Il cattolicesimo spiegato a mio nipote che fa il liceo (Cantagalli). Per La Fontana di Siloe ha pubblicato Il mio nome è Giuda.

 

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