In conspéctu divinæ maiestátis  tuæ

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I sovrani e nobili che hanno creato, insieme alla Chiesa di Roma, l’Europa cristiana, sono coloro contro i quali si scagliò in maniera feroce la Rivoluzione francese. Da allora, in un crescendo continuo, il mondo aristocratico è rimasto fuori dal pensiero contemporaneo. A forgiare una mentalità critica e polemica, quand’anche irrisoria, dei nobili cattolici, ha contribuito notevolmente l’ideologia marxista e comunista, così, benché sia crollato il Muro di Berlino nel 1989, il concetto di “rivoluzione antiaristocratica” è rimasta nel tessuto culturale e sociale, tanto che, tutto ciò che è legato alla nobiltà, nell’immaginario collettivo è identificato con qualcosa di totalmente avulso dalla gente e lontano dai fedeli. È questa storia, vera e viva, che desideriamo recuperare, provando che, al cospetto della Maestà divina e all’interno dell’istituzione monarchica, ci sono stati testimoni della Fede e del Vangelo che hanno contribuito in maniera determinante e fondante a costruire la Societas Christiana.

(In conspéctu divinæ maiestátis  tuæ: dal Canone Romano)

Juliette Colbert e Carlo Tancredi di Barolo

Lei vandeana e oggi Venerabile, lui subalpino e oggi Servo di Dio. Lei discendente di Jean Baptiste di Maulévrier, il ministro delle finanze del Re Sole. Lui l’ultimo erede di una delle famiglie più ricche del Continente. Essi interpretano, come coniugi esemplari, un profondo sentire cristiano europeo. Entrambi, sia prima di unirsi in matrimonio, sia dopo, viaggiarono molto per l’Europa, lasciando anche dei preziosi scritti, per apprendere la cultura e l’arte delle diverse città, ma anche per attingere le innovazioni favorevoli alle metodologie pedagogiche e di riforma delle carceri che applicheranno poi in Italia.

Juliette Françoise Victurnie nasce il 26 giugno 1785 nel castello di Maulévrier dal conte Edouard Victurnien Charles René Colbert e dalla contessa Anne Marie Louise de Crénolle.

Carlo Tancredi nasce il 26 ottobre 1782 a Torino da Ottavio Alessandro e da Paolina d’Oncieu che vivevano nel loro bellissimo palazzo di via delle Orfane.

Serena l’infanzia di Carlo Tancredi, dolorosa e pesante quella di Giulia che vide gli orrori della rivoluzione francese. I giacobini ghigliottinarono alcuni suoi parenti e provvidero al genocidio nella sua terra. Nei giorni del grande Terrore il marchese di Maulévrier viene perseguitato e con lui la sua famiglia: sua madre, una sorella ed altri parenti sono condannati a morte e vengono ghigliottinati. Episodi questi che resteranno per sempre impressi nella memoria di Giulia e che non riuscirà mai a cancellare, come non dimenticherà più la sua Vandea, dalla quale ha appreso la tenacia, la resistenza e la fortezza. Intanto i beni dei Colbert vengono confiscati e l’intera famiglia è costretta ad allontanarsi dalla Francia perché bersaglio delle ire politiche.

Il celebre capo vandeano Stofflet, guardiacaccia del marchese Colbert, con i suoi compagni del movimento controrivoluzionario, che univa contadini, aristocratici e preti refrattari «per Dio e per il Re» contro la Repubblica, diffonde un proclama che recita così:

«Rendeteci i nostri sacri Pastori, che sono gli amici e i padri nostri, che dividono con noi le sventure e le pene, che ci aiutano a sopportarle colla parola e con l’esempio. Rendeteci il libero esercizio della religione de’ nostri maggiore per la conservazione della quale sapremo versare fino all’ultima goccia del nostro sangue». Da Parigi arriva l’ordine di sterminarli. Quando tutto è cenere vengono raccolti anziani, bambini, malati, che hanno assistito alle atroci morti dei congiunti, e vengono fucilati.

A 18 anni Carlo Tancredi è nominato paggio imperiale e sarà Napoleone Bonaparte a combinare il matrimonio del giovane Tancredi con la damigella di corte Giulia Colbert. Mediatore di questa unione fu il principe Camillo Borghese: le strategie matrimoniali erano considerate attentamente dalla diplomazia bonapartista con lo scopo di conquistarsi la simpatia delle famiglie potenti e facoltose. Quell’unione, comunque, risulterà eccezionale.

Giulia Colbert e Tancredi di Barolo s’incontrano spesso nei salotti aristocratici e alla Corte imperiale, scoprendosi varie affinità: cultura vasta e profonda, sensibilità e disponibilità sociale, fede religiosa radicata e operosa. Opposte e complementari le loro personalità: lei vulcanica, impulsiva, ostinata, lui riflessivo, ponderato e calmo.

Il matrimonio viene celebrato a Parigi il 18 agosto 1807.

Nella capitale francese i giovani Barolo continuano a frequentare gli ambienti nobiliari e allo stesso tempo si accostano alle istituzioni sociali di beneficenza. Ma i loro sentimenti e i loro progetti sono proiettati in Italia e a Torino, città che li vedrà protagonisti fra le sue vie più squallide e povere.

Nel 1814 la battaglia di Lipsia fa cadere l’Impero napoleonico e re Vittorio Emanuele I, come gli altri sovrani spodestati, rientra nella sua capitale, Torino. I Barolo si stabiliscono così definitivamente nel loro magnifico palazzo di via delle Orfane. Qui Giulia inizia a conoscere la sua nuova patria, di cui apprende la storia, le abitudini e anche il dialetto, che vuole subito parlare per cercare e trovare un contatto con la gente più umile. Si fa torinese. E riscuote grandi simpatie per la semplicità del tatto, l’operosa carità, la conversazione piacevole e brillante.

Giulia e Carlo Tancredi non possono avere figli, ma decidono di adottare come tali i poveri di Torino.

Viaggiano molto, in tutta Italia e all’estero. Giulia ammira luoghi, paesaggi, città, incontra persone, resta incantata di fronte alle bellezze dell’arte, visita carceri, istituzioni sociali ed educative. Entrambi osservano attenti realtà ed esperienze, problemi sociali e varietà di soluzioni. Nascono da questi esami stimoli ed orientamenti per iniziative da realizzare a Torino, una città che ha davvero bisogno di essere soccorsa. La capitale subalpina, che si sta industrializzando, è diventata infatti un bacino che raccoglie gli immigrati dalle campagne in cerca di lavoro, in cerca di fortuna, ma saranno moltissimi a trovare la miseria, l’abbrutimento, la morte (la delinquenza si svilupperà in gran misura e omicidi e infanticidi saranno all’ordine del giorno).

A salvare questa Torino malata furono i Santi, dal Cottolengo al Cafasso, da Don Bosco al Faà di Bruno… e fra questi anche la coppia Carlo Tancredi e Giulia di Barolo, che si circondarono di reietti elargendo loro una Carità specialissima, proiettata a vedere Cristo in essi, a differenza della filantropia del tempo o della solidarietà dei nostri tempi.

Se di sera Palazzo Barolo apriva le porte per accogliere l’élite culturale, economica, politica (fra cui Cesare Balbo, il conte di Cavour, i marchesi di Saluzzo, il maresciallo de la Tour, i nunzi pontifici Gizzi, Antonucci, Roberti; gli ambasciatori di Francia, Inghilterra, Austria, Toscana, Spagna; i signori de Lamartine, de Maistre, Rendu), di giorno si offriva il pasto a duecento poveri.

Se si dovesse eleggere un patrono dei sindaci, questo dovrebbe essere il marchese Tancredi di Barolo che si rivelò un ottimo amministratore civico. Nel 1825 fondò, a sue spese, l’Asilo Barolo, il primo in Italia: raccoglieva i bambini di madri operaie, altrimenti abbandonati per le vie. Membro del Corpo amministrativo municipale (Decurione), Segretario della deputazione del Consiglio Generale per l’Istruzione Pubblica e Consigliere di Stato di Re Carlo Alberto – che diede grande possibilità di manovra ai Santi che operarono alacremente nel Regno di Sardegna, firmando le patenti regie che autorizzavano l’apertura di Opere e Istituti religiosi –  si dedicò specialmente all’istruzione e alla formazione professionale dei figli dei diseredati.

Nel 1834, in accordo con l’amata consorte, fondò la congregazione delle Suore di Sant’Anna per assicurare una presenza educativa qualificata nell’Asilo Barolo: un’istituzione voluta da laici, un fatto assai raro nella storia degli ordini religiosi. L’istruzione alla gioventù, sia benestante che disagiata, era lo scopo principale del marchese. Fondò anche una Scuola di pittura e scultura a Varallo.

Nelle istituzioni scolastiche promosse dai marchesi ricordiamo ancora la Scuola di Borgo Dora, il collegio Barolo, le Oblate di Santa Maria Maddalena, per la cura delle malate dell’Ospedaletto, le Suore di San Giuseppe, chiamate da Chambery alla scuola di Borgo Dora e alla direzione del Rifugio, e le Dame del Sacro Cuore per l’educazione delle figlie dei nobili e dei borghesi.  Instancabile, Carlo Tancredi promosse grandi opere urbane: fece costruire giardini, fontane con acqua potabile, migliorando l’illuminazione cittadina. Di tasca propria finanziò la costruzione del Cimitero Generale di Torino. Nel 1827 istituì la prima Cassa di Risparmio torinese per i piccoli risparmiatori: domestiche, commercianti, artigiani…

Nell’estate del 1835 il colera dopo aver toccato più città d’Europa, giunge tragicamente a Torino. Giulia e Carlo Tancredi, chiamato «Padre dei poveri», si prodigano per l’assistenza ai malati esponendosi ai rischi di contagio. Per l’eroico servizio ai colerosi Giulia riceve la medaglia d’oro dal Governo e il consorte, la cui salute è purtroppo minata irreparabilmente, viene insignito della Commenda dei santi Maurizio e Lazzaro. A causa delle debole salute di Tancredi, i medici consigliano i coniugi Barolo di intraprendere un viaggio per raggiungere il Tirolo. Ma, arrivati a Verona, si devono fermare perché il marchese è colpito da una violenta febbre. Ripresa la via del ritorno giungono in una povera locanda di Chiari, in provincia di Brescia: Tancredi, sotto gli occhi dell’amata, muore. È il 4 settembre 1838.

La marchesa, chiamata «Madre dei poveri» e fedele al suo motto «Gloria a Dio, bene al prossimo, croce a noi», proseguì nell’opera intrapresa insieme al marito e diede un grande contributo alla riforma carceraria, avvalendosi della sua posizione di prestigio e delle sue amicizie, a partire da re Carlo Alberto. Fondò il monastero di clausura delle Maddalene, l’ospedale di Santa Filomena per le bambine disabili; ospitò nel suo palazzo le Famiglie di operaie.

La domenica in Albis, l’ottavo giorno dopo Pasqua del 1814, mentre percorreva via San Domenico: «m’abbattei», racconta nelle Memorie, «nell’accompagnamento del Viatico, che veniva portato dalla parrocchia di Sant’Agostino agli ammalati, i quali non possono andare in chiesa a far le devozioni. Io m’inginocchiai». Fu allora che il grido disperato di un condannato delle carceri Senatorie di quella via la fa trasalire: «Non il viatico vorrei, la zuppa». Quel grido fu un richiamo irresistibile. Entrò in quella prigione e rimase sconvolta dalle condizioni dei detenuti. Iniziò così la sua attività in favore dei reclusi. Studiò a fondo la questione carceraria, visitando diverse prigioni in Francia e in Inghilterra, dove ebbe modo di conoscere l’esperta Elisabeth Fry, che operava positivamente nel penitenziario di Negate.

Maestra dietro le sbarre, Giulia si fece chiudere insieme alle detenute, insegnando loro a leggere, scrivere, pregare. Più luce, più pulizia, più sanità entrarono in quelle celle. Molte donne si convertirono e si fecero Suore Maddalene, mentre le altre vennero inserite nel sociale con un proprio lavoro dignitoso.

Giulia morì il 19 gennaio 1864 fra le ostilità dei liberali, dei massoni, dei rivoluzionari e la gratitudine di tutti coloro che avevano ottenuto benefici spirituali e materiali.

 

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1 commento su “In conspéctu divinæ maiestátis  tuæ”

  1. Il cristianesimo è nato dalla grande persecuzione durante gli ultimi secoli dell’Impero romano. Il pensiero cristiano fiorì innestandosi sulla grande civiltà romana e greca. I guai veri ebbero inizio con la Riforma di Lutero che spaccò la cristianità. Dal sacco di Roma ad opera dei lanzichenecchi sino alla dissacrazione perpetrata da Napoleone con il papa morto prigioniero in Francia, si ebbero stragi di cristiani maggiori di quelle consumate prima di Costantino. Ma il vero spirito anticlericale del popolo venne dopo con la Restaurazione. Fu allora che ebbe inizio la definitiva cancellazione dell’aristocrazia, che aveva le radici nella Chiesa. Ci furono molti santi che tentarono di porre rimedio alla stupidità della Chiesa, che riprese prestigio solo con due papi: Pio XI e soprattutto Pio XII, per poi di nuovo andare in crisi con il Vaticano II.
    Per il ruolo svolto dall’aristocrazia nell’arte si veda:
    http://www.lacrimae-rerum.it/documents/21-5-06IlPrincipeverocreatoredellarte.pdf
    Per uno sguardo più vasto si veda:
    http://www.lacrimae-rerum.it/documents/alessandro-magno-e-napoleone-due-storie-a-confronto.pdf
    http://www.lacrimae-rerum.it/documents/la-religione-della-verita.pdf
    http://www.lacrimae-rerum.it/documents/0-LR-InfluenzadellaCIAnellosviluppodell.pdf
    http://www.lacrimae-rerum.it/documents/che-cosa-successo-arte-nel-secondo-dopoguerra.pdf.

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