In viaggio con la Sindone

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Alla morte di Ludovico nel 1465, la Sindone passò al figlio Amedeo IX che fece costruire la cappella nel palazzo ducale. Egli sposò Jolanda di Francia e la Sindone iniziò a viaggiare al loro seguito per altre vie ed altri castelli. I nuovi proprietari, infatti, si spostavano di città in città per impegni istituzionali di vario genere. Amedeo IX, futuro Beato, seppure epilettico e costretto al fermo su una sedia, era sempre accanto alla moglie Jolanda, amata in ogni angolo del Ducato per le sue opere benefiche, per le disposizioni che dava per la costruzione di nosocomi, lebbrosari, nonché per la manutenzione di alcune residenze nobiliari tra cui il castello di Moncrivello (VC), castello che, non casualmente, si trova in una via oggi intitolata alla memoria della Duchessa Jolanda.

L’origine del castello di Moncrivello risale all’incirca al Mille quando la rocca divenne una potente fortezza al centro delle contese tra Guelfi e Ghibellini. Assegnato da Federico Barbarossa al dominio dell’Episcopato di Vercelli nel 1152, fu conteso dai marchesi del Monferrato, che se ne impadronirono nel 1243. Ritornato sotto l’egida della Chiesa vercellese nel 1300, Moncrivello fu infeudato ai Fieschi, familiari dei Vescovi, con il suggello dell’investitura papale di Bonifacio IX nel 1394.

Ad inizio del ‘400 gli abitanti di Moncrivello si ribellarono ai Fieschi e assicurarono la loro fiducia ad Amedeo VIII di Savoia, rimanendo fedeli ai Savoia fino ad Emanuele Filiberto. Ed è proprio a quel tempo di Emanuele Filiberto, Testa di Ferro, che si rifaceva un antico affresco parietale nella vicina Mazzè. Oggi l’affresco non esiste più. Non esiste più nemmeno la parete su cui era stato tracciato. Volendo ristrutturare l’edificio, il proprietario ha abbattuto e ricostruito il muro.

La Duchessa Jolanda, sorella del Re di Francia e moglie di Amedeo IX, trasformò l’antica roccaforte dall’architettura romanica in dimora signorile, arricchendola di elementi rinascimentali, facendone la sua residenza prediletta, e lì visse gli ultimi anni di vita fino al 1478.

Amedeo IX e Jolanda consideravano la Santa Sindone un prezioso bene privato, la portavano con sé, a dorso di mulo, durante i continui spostamenti della corte al di qua delle Alpi, insieme ad un piccolo altare e a tutto l’occorrente per le celebrazioni religiose. Intanto Chambery diventava sede preferita dai cattolici, rispetto a Ginevra, ove erano mal sopportati dalla presenza numerosa dei protestanti. Nelle località in cui soggiornavano succedeva che qualcuno chiedesse loro di vedere la Sindone, non solo tra i religiosi, ma anche tra i fedeli ed ecco che risalgono a quel periodo molti tra gli affreschi presenti nel cuneese ed anche a Pinerolo. Il Sacro Lino fu a Vercelli nel 1471, nel 1474 a Torino e ad Ivrea, l’anno successivo a Moncalieri per poi tornare a Chambery nel ’75. L’anno successivo Jolanda arrivò in Piemonte attraverso la Val di Susa, accessibile, in quegli anni, senza troppe ostilità. Alcuni documenti parlano di soste ed Ostensioni a Susa, ad Avigliana, Rivoli e a Savigliano, città in cui sono ancora visibili alcuni affreschi parietali.

Al padre Amedeo IX successero prima il figlio Filiberto I e, alla sua morte, un altro figlio, Carlo I, di appena 14 anni. In età adulta sposò Bianca di Monferrato che gli diede un erede, Carlo II, che morì fanciullo. Aveva solo 8 anni (1488-1496). Da quel momento, il Ducato di Savoia si trovò senza una guida sicura, attorniato da grandi potenze che, ora una ed ora un’altra, si contendevano amicizia e privilegi del Ducato sabaudo sempre più debole e ridotto ad un fazzoletto di terre. Lo scettro passò ad un fratello di Carlo I, Filippo II detto Senza Terra perché privo di appannaggio. Filippo II (Chambéry 1443 – Torino 1497) morì presto, lasciando il potere prima a Carlo II (figlio di Carlo I, che però morì giovanissimo senza poter regnare) poi a Filiberto II ed infine a Carlo III, detto il Buono. Con lo scettro passavano, di mano in mano, i beni di famiglia, le Terre di Margherita e la Santa Sindone. Quando Carlo III ereditò il trono, si trovava lontano; il potere giunse inaspettato a quel neo Duca che non era abile al comando, poco incline alle armi, orfano di padre e troppo alle dipendenze di una madre francese, Claudia de Brosse, che guardava più alla Francia che alla Savoia. Carlo III non aveva nemmeno il conforto di giuste nozze e, con tanti pensieri in testa, salutò i salotti europei e prese la strada per Chambery, mentre lassù, dove si può ciò che si vuole, la Provvidenza tesseva la sua lunga trama.

Nell’ultimo giorno del 1504, lontano dalla Savoia, sulle sponde che si affacciano sull’Oceano, nasceva a Lisbona la figlia del Re, Beatrice, dalla carnagione chiara ed i capelli rossi. Beatrice crebbe in fretta in un’atmosfera ricca di cultura, di relazioni con il vecchio Continente e affacciata sul nuovo mentre enormi galere attraccavano al porto della sua città, cariche di ogni bene proveniente dalle Americhe appena conosciute. Cotone, semi di caffè e di cacao che Beatrice avrebbe portato con sé tutta la vita. Ancor giovane, la Principessa lasciò la casa paterna, il mare ed i fasti di corte per andare in sposa ad un uomo, buono, più vecchio di lei, montanaro ed erede irrisoluto e poco accorto di un residuo di Ducato, Carlo III di Savoia. Quello che per molti è un matrimonio combinato, fu per Beatrice e Carlo un vero matrimonio d’amore e di rispetto, e nella complicità trascorsero il tempo insieme, ma quando gli impegni li tenevano distanti l’una dall’altro, allora si scrivevano lunghe e quotidiane lettere. Carolus III, votre bon mari, si firmava Carlo. Votre humble femme, rispondeva Beatrice. L’anno delle nozze fu il 1521 ed i novelli sposi si stabilirono a Chambery. La città era la capitale del Ducato e lì, nel 1408, il conte Amedeo VIII di Savoia, futuro primo Duca di Savoia, decise di erigervi una cappella in stile gotico fiammeggiante, terminandola nel 1430. In quella cappella, dal 1453, fu custodita la preziosa Reliquia e, nel 1466, il Papa concesse una speciale bolla per rinominare la chiesa in Cappella della Sacra Sindone, comunemente chiamata Sainte Chapelle, un edificio privato, raccolto e molto elegante con i vetri a cattedrale. La Sindone era custodita in un’urna forgiata in leghe d’argento. Nello stesso anno, sotto la direzione dell’architetto Blaise Neyrand, venne costruita una nuova torre campanaria (detta anche Tour Yolande), con il grande complesso di 70 campane. Esse vennero fuse dalla famosa fonderia Paccard di Sevrier, ed oggi è il quarto campanile in Europa per numero di campane. Esse vengono tradizionalmente fatte suonare in concerto, il terzo sabato del mese, alle 17.30.

Carlo III e Beatrice vissero a Chambery lunghi giorni, tra un viaggio e l’altro in Europa. Tuttavia, un violento e rovinoso incendio, divampato nel 1532, tra i banchi della Sainte Chapelle, spinse i Duchi a cercare riparo altrove.

 

La lapide di Beatrice di Portogallo, ora conservata nella cripta della basilica mauriziana

 

Dipinto, ora in fase di restauro, del 1844 di Giovanni Marghinotti, in cui Carlo III venera la S. Sindone

 

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