La coppia di sposi che illuminò il Sacro Romano Impero, sant’Enrico II e santa Cunegonda

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In conspéctu divinæ maiestátis tuæ

rubrica di Cristina Siccardi

 

La coppia imperiale di sant’Enrico II (Bad Abbach o Hildesheim, 6 maggio 973 o 978 – Grona, 13 luglio 1024) e di Cunegonda (Lussemburgo o castello di Gleiberg presso Gießen, 978 circa – Kaufungen, 3 marzo 1039), vissuta durante il Sacro Romano Impero, costituisce nella storia d’Europa e della Chiesa un modello di saggezza di governo e di unità sponsale di prim’ordine.

L’istituzione monarchica rimanda tradizionalmente ad un ordine di carattere divino, a differenza dell’istituzione repubblicana. La molteplice iconografia di Enrico II ben rappresenta questa concezione. L’analisi delle raffigurazioni iconografiche dei sovrani medievali mostra che il regno di questo Imperatore fu l’apogeo di un sistema politico, tipico del IX-XI secolo caratterizzato dal sentire tutta la responsabilità cristiana di essere sovrani in terra per volontà di Dio. Da qui la dignità reale vissuta come sacra. La monarchia carolingia, alleata del Pontefice, adottò l’unzione reale. Ispiratisi all’Antico Testamento, i chierici carolingi concepivano il loro Re come un nuovo David. Riflettendo sul significato del sacro, i teorici ottoniani accentuarono questa sacralità sottolineando la presenza di Cristo nel sovrano, unto nel nome del Signore. Ecco che l’iconografia del santo Imperatore dà testimonianza di ciò: ad Enrico II viene posta la corona in capo da Cristo stesso. Quanto alle opere letterarie, esse sottolineano la necessaria imitazione di Cristo da parte del sovrano.

Ultimo Re della dinastia degli Ottoni, Enrico II, il cui regno (1002-1024) costituì l’apogeo della prima parte dell’Impero germanico, non era destinato a regnare. Votato inizialmente ad una carriera ecclesiastica, ricevette un’educazione rigorosa nella scuola capitolare di Hildesheim e a Ratisbona dal santo Vescovo Wolfango, dove acquisì una profonda pietà ed una puntuale conoscenza dei problemi religiosi. La morte violenta del giovane Ottone III nel gennaio del 1002, mutò il destino di Enrico di Baviera, suo parente più prossimo.

Dopo un difficile inizio, Enrico II ricevette l’appoggio dell’episcopato e venne incoronato Re di Germania il 7 giugno 1002 da Willigis, Arcivescovo di Magonza. Nominò suo cancelliere Alberico, vescovo di Como. Segnata dall’impronta del realismo e della chiaroveggenza, la sua politica fu caratterizzata dall’abbandono delle grandiose mire universalistiche di Ottone III. Il nuovo sovrano fece della Germania il centro della sua azione e mentre i suoi predecessori avevano inseguito inutilmente un sogno italiano, egli vi compì alcuni soggiorni.

In Germania si dedicò al controllo degli aristocratici locali. Il suo maggior problema fu quello di restaurare la frontiera orientale minacciata dall’espansione polacca. Inoltre accentuò il protettorato tedesco sul regno di Borgogna dello zio Rodolfo III, che gli cedette in pegno, nel 1006, Basilea.

Rafforzò l’alleanza del potere imperiale con la Chiesa. Presidente dei sinodi episcopali, canonico di alcune cattedrali, intensificò la forza e l’influenza del clero, ponendolo a servizio dello Stato. Le cariche ecclesiastiche, soprattutto i vescovi, ricevettero possessi e diritti regali; i più favoriti si vedevano conferire dignità contali e anche l’amministrazione di intere contee. Inoltre partecipavano agli incarichi governativi, fornendo molteplici prestazioni ed accogliendo la Corte reale in continuo spostamento.

Enrico II, nelle nomine vescovili e nelle promozioni dei chierici della cappella reale, impresse criteri di bontà evangelica e di giustizia. I suoi vescovi furono prelati competenti, devoti a Dio e fedeli, alcuni dei quali dimostrarono anche un grande talento. Nel 1004 fece restaurare l’Arcivescovado di Merseburg e nel 1007 quello di Bamberg. Fu assai sensibile al rinnovamento della vita monastica, appoggiando alcuni riformatori come Riccardo di Saint-Vanne e testimoniò la sua alta considerazione per l’Abbazia di Cluny e della sua Regola, in particolare stimò molto l’Abate Odilone.

In Italia si fermò nel 1004 per sconfiggere il sovrano Arduino d’Ivrea, che i grandi signori italici avevano eletto Re d’Italia alla morte di Ottone III. Una volta sconfitto, Enrico cinse a Pavia la Corona del Regno (14 maggio), mentre la folla protestava sonoramente. Nel 1013 tornò nella penisola per dirimere le controversie fra i candidati al papato della famiglia Crescenzi e dei Conti di Tuscolo, assicurando ai secondi il proprio appoggio. In quell’anno prese sotto la propria protezione l’Abbazia benedettina di Sansepolcro, nell’Alta Valle del Tevere. Il 14 febbraio 1014 fu incoronato imperatore a Roma da Papa Benedetto VIII. Scese nuovamente in Italia ancora nel 1021-1022 per condurre una breve campagna militare in Puglia e Campania contro i Bizantini. Proprio nel 1022 presiedette, insieme al Pontefice, il Concilio di Pavia, a conclusione del quale vennero emanati sette canoni contro il concubinato dei sacerdoti e per la difesa dell’integrità dei patrimoni ecclesiastici. Questa assise fu un evento molto importante all’interno del processo di riforma della Chiesa dell’XI secolo.

Molto religioso e convinto assertore delle responsabilità dell’Imperatore nei confronti della fede e della prosperità dei suoi sudditi, esercitò sulla Chiesa e sui monasteri tedeschi un forte controllo, inteso in primo luogo a promuovere una riforma morale dei costumi nello spirito dell’ordine cluniacense, e a livello politico per renderli un contrappeso valido e sostanziale rispetto al potere e all’ingerenza dell’aristocrazia laica.

La sua morte, il 13 luglio 1024, fu accompagnata in Italia da sommosse di popolo e dall’incendio del palazzo imperiale di Pavia, in Germania da un’incredibile assenza di conflitti intestini tra i principi, segno di una sapiente politica dell’Imperatore scomparso.

Enrico II ebbe al suo fianco Cunegonda, incoronata Regina il 10 agosto 1002 a Paderbon e incoronata Imperatrice insieme al consorte il 14 gennaio 1014 a Roma. Scarne informazioni si hanno su Cunegonda, tuttavia è costantemente citata nei testi contemporanei come una figura di grande levatura. Diverse allusioni e il suo intervento in un buon terzo dei diplomi reali, attestano che ella svolse un ruolo politico di primo piano. La sua influenza fu enorme. È bene ricordare, infatti, che nel Medioevo non esisteva antagonismo fra uomini e donne, tanto che molte donne, proprio perché la Chiesa di allora esercitava un consistente potere in Europa, hanno ricoperto incarichi temporali e spirituali di straordinaria portata, come dimostrano le molteplici figure femminili del basso e dell’alto Medioevo, canonizzate o meno dalla Chiesa.

Figlia di Sigfrido, primo conte di Lussemburgo e di Edvige di Nordgau, discendente in linea diretta da Carlo Magno, sposò nel 998 Enrico IV, Duca di Baviera, poi imperatore con il nome di Enrico II. Alla morte di Ottone III, che non aveva eredi, Enrico, il 6 giugno 1002, fu incoronato re di Germania da Willigis, arcivescovo di Magonza. Cunegonda venne incoronata regina a Paderborn, due mesi più tardi l’incoronazione del marito nel giungo 1002.

Alla fine dell’XI secolo sorse la tradizione della castità dei due sposi. I primi a descriverla furono alcuni monaci dell’abbazia di Monte Cassino, molto legati all’Imperatore, Amato e Leone d’Ostia. Secondo altre fonti, contemporanee ai fatti storici, viene attestata la sterilità di Santa Cunegonda. Le prime conoscenze sul matrimonio imperiale poggiano su tre brevi testi. Il cronista Titmaro di Merseburg riferisce la dichiarazione fatta da Enrico II al Sinodo di Francoforte del 1007: «[…] per mia ricompensa divina, ho scelto Cristo come erede, poiché non mi resta più alcuna speranza di avere una discendenza». Il secondo testo è una lettera del Vescovo Arnoldo di Halberstat (novembre 1007) ad un suo confratello di Würzburg: «[…] rifiutandogli una discendenza umana, farà di Dio, a Lui piacendo, il suo erede». Infine il monaco cluniacense Rodolfo il Glabro lascia scritto (prima del 1047): «Vedendo che da Cunegonda egli non poteva avere figli, non se ne separò a causa di questo, ma accordò alla Chiesa di Cristo tutto il patrimonio che avrebbe dovuto a dei figli».

Nell’alto Medioevo, una simile situazione terminava spesso con il ripudio della sposa. Come dimostra Rodolfo il Glabro, il fatto essenziale che colpì i contemporanei e fondò i termini per la reputazione di santità, fu l’inaudito rifiuto dell’Imperatore di ripudiare la moglie. La ragione di tale scelta è stata cercata nella profonda pietà cattolica dell’Imperatore, pietà che gli veniva da una tradizione ottoniana: i comportamenti matrimoniali costituirono un punto capitale delle relazioni fra gli Ottoni e la Chiesa. Infatti i suoi predecessori osservarono sempre una condotta matrimoniale esemplare: una stretta monogamia, unioni canonicamente irreprensibili, l’assenza di figli illegittimi e ripudi caratterizzarono la loro vita familiare. Emblematica una biografia commissionata dallo stesso Enrico II, la Vita della sua bisavola Santa Matilde, dove il sacramento matrimoniale primeggia: l’unione sponsale è qui celebrata come indissolubile e spiritualmente benefica per ogni coniuge. Ne emerge una coppia di sposi di stampo evangelico, modello di vita coniugale. Enrico II non volle essere da meno della sua antenata e fu deciso nel credere e testimoniare l’indissolubilità matrimoniale, e tenne per sposa la sua Cunegonda.

Alla morte di Papa Sergio IV, Enrico e Cunegonda scesero a Roma e diedero il loro sostegno all’elezione di Benedetto VIII contro la fazione di Crescenzio. Nel 1007 fecero costruire la Cattedrale di Bamberga di San Pietro e San Giorgio, e l’Abbazia benedettina di San Michele, in seguito consacrate da Benedetto VIII in persona. Cunegonda con la sua dote costruì un secondo monastero dedicato a Santo Stefano ed un terzo nel 1021 a Kaufungen, vicino a Kassel, per monache, intitolato alla Santa Croce – lei stessa donò una reliquia della Santa Croce di Cristo – per adempiere ad un voto fatto durante una grave malattia da cui era guarita.

Partecipò attivamente al Governo dell’Impero, sostituendo anche l’Imperatore quando era assente a causa delle guerre contro vari signori ribelli, come il cognato Federico conte di Lussemburgo, Enrico duca di Baviera o l’Arcivescovo di Metz. Dopo la morte del marito governò come Imperatrice il Sacro Romano Impero, fino al 4 settembre, quando ella stessa favorì l’ascesa al trono di Corrado II il Salico.

Nel primo anniversario della morte di Enrico II (luglio 1025), Cunegonda, con una solenne cerimonia nel monastero di Kaufungen, si spogliò delle insegne e degli abiti imperiali per vestire quelli delle benedettine e si fece tagliare i capelli: per quindici anni si dedicò alla vita di ascesi, di preghiera, di digiuni e penitenze, dedicandosi anche a umili lavori manuali e assistendo le consorelle ammalate. Avvicinandosi il momento della sua morte, venne a sapere che le sue consorelle le stavano confezionando sontuosi abiti funebri, perciò fermò ogni iniziativa in questo senso e volle, dopo la morte, sopraggiunta il 3 marzo 1033 (qualcuno sostiene il 1039), essere sepolta con il suo saio di lana grezza. «Le sue spoglie mortali trovarono degna sepoltura presso quelle del marito nella cattedrale di Bamberga. Nei primi anni non fu oggetto di grande culto, ma dal XII secolo la venerazione nei suoi confronti crebbe grandemente fino a superare quella tributata già in precedenza ad Enrico. La causa di canonizzazione fu introdotta sotto il pontificato di Celestino III, ma solo Innocenzo III con bolla del 29 marzo 1200 ne approvò ufficialmente il culto. Nella diocesi di Bamberga nel XV secolo ben quattro solenni celebrazioni erano dedicate alla memoria della santa imperatrice: il 3 marzo (anniversario della morte), il 29 marzo (anniversario della canonizzazione), il 9 settembre (traslazione delle reliquie) ed il 1° agosto (commemorazione del primo miracolo)»[1].

Enrico II venne canonizzato nel 1146 da Eugenio III (la sua memoria nella Chiesa cade il 13 di luglio), offrendo alla Cattolicità il modello di un Imperatore devoto in un periodo di grande incertezza del potere imperiale e papale, con la città di Roma elevata a libero Comune e le predicazioni pauperiste di Arnaldo da Brescia (1090-1155), allievo del teologo eretico Abelardo, nonché riformatore religioso di notevole eloquenza con una forte avversione per l’istituzione tradizionale ecclesiastica, non a caso la sua figura sarà esaltata e presa come riferimento in età risorgimentale.

 

[1] http://www.santiebeati.it/dettaglio/43700

 

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