Le pressioni del “dogma” economicista sul Governo italiano

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Con il varo della Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (Def), lo scontro tra l’attuale Governo italiano e le istituzioni comunitarie si appresta ad entrare in una fase ancor più calda di quella vissuta sulla questione dei migranti.

Il documento, varato dal Consiglio dei Ministri nella nottata tra il 27 ed il 28 settembre u. s., al di là delle cifre e dei singoli provvedimenti, con le relative coperture, rappresenta, sul piano politico, una, sia pur parziale, riappropriazione di sovranità da parte del nostro Esecutivo, che ha deciso di derogare, quantunque in modo lieve, agli impegni di politica economica assunti dalle precedenti compagini ministeriali, nei confronti delle richieste europee. L’oggetto del contendere non è tanto la rilevanza, sul piano economico e su quello finanziario, di poco più di un punto e mezzo di deficit in più o in meno. L’Italia avrebbe dovuto chiudere il 2019, secondo quanto concordato dai precedenti Governi con Bruxelles, con un deficit[1] (vale a dire) dello 0,8%, se vi si ricomprendevano anche i costi necessari ad evitare l’attivarsi delle cosiddette «clausole di salvaguardia»[2], o dell’1,6%, qualora si interpretino tali accordi come non comprensivi di tali necessari interventi; ora l’Italia si appresta, secondo la Nota di aggiornamento al Def, a terminare il prossimo anno con un disavanzo[3] del 2,4%.

A dimostrare su quanto l’aspetto rigidamente economico non abbia nulla di trascendentale, ci sono le parole, a caldo, del Presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, che ha affermato che, se questo eccesso di deficit è volto alla ripresa, può essere spiegato anche all’Unione europea e, soprattutto, ai mercati, mentre, in caso contrario, rappresenterebbe un problema; pare quasi far eco, quantunque involontariamente, alle parole di Matteo Salvini, che ribadiva la determinazione dell’Esecutivo a proseguire, indipendentemente dalle reazioni dei burocrati di Bruxelles e dei mercati, nell’assoluta persuasione che, soprattutto i secondi, avrebbero, in tempi relativamente brevi, compreso che la manovra tende a rafforzare economicamente l’Italia, accelerandone la ripresa economica, e, quindi, in ultima analisi, a renderla più appetibile come luogo di investimento, tanto diretto quanto in titoli di debito pubblico. Come si vede, al di là dell’allarmismo, politicamente interessato, delle opposizioni e, in particolare, di Forza Italia, che ha, addirittura, paventato un «rischio Grecia», il punto non è, come dicevamo, economico, ma politico: riuscirà l’Unione europea ad imporre anche a questo Governo una politica di rigido contenimento di bilancio, come ha fatto con i suoi predecessori, a partire, almeno, dal Governo Monti?

La Commissione europea, da sempre punta di lancia della Sinarchia eurocratica, ha reagito, almeno a caldo, in maniera molto composta e premeditatamente incoerente. L’esecutivo comunitario si è trovato di fronte ad un ulteriore oggettivo innalzamento del livello dello scontro, al di là delle parole concilianti di Luigi Di Maio, che si è affannato a ribadire la volontà di dialogo sua e di tutto il Governo: nonostante gli avvertimenti ed i richiami preventivi delle più alte autorità dell’Europa comunitaria e nonostante, persino, l’inusuale durezza delle minacce dello stesso Presidente della Banca centrale europea e, come potrebbe apparire agli occhi dei più maliziosi, addirittura in spregio a tali richiami ed a tali avvertimenti, l’Italia ha deciso di contraddire in maniera palese, anche se quantitativamente non eclatante, tutte queste indicazioni. La situazione, per i burocrati di Bruxelles, si fa tesa: da un lato non possono permettere che un Paese membro dell’Unione si permetta di avere una politica economica propria, senza ubbidire alle direttive comunitarie; mentre, dall’altro, non si possono permettere una posizione tanto rigida da irrigidire anche Roma, soprattutto con il rischio di trascinare, definitivamente, il Movimento 5 Stelle sulle posizioni della Lega.

Di qui la solita strategia di presentare pubblicamente due linee in contrasto tra loro, nella speranza di acuire le differenze di linea tra i due partiti della maggioranza governativa italiana. Il Commissario per gli Affari economici monetari, Pierre Moscovici, quello stesso che parlava dei piccoli Mussolini che si aggirano per l’Europa, si è messo ad incarnare la parte del poliziotto buono, affrettandosi a precisare tutta la sua contrarietà alla strada delle sanzioni nei confronti del nostro Paese e confidando nella possibilità di trovare, con il dialogo, un accordo con Roma; la parte del poliziotto cattivo è invece toccata, come d’abitudine, al Commissario europeo per la Stabilità finanziaria,  Valdis Dombrovskis, ribadendo che «alcune azioni prese a livello di politica fiscale» dall’Italia «non sono in linea con le raccomandazioni generali» dell’Ue di spostare il carico di tasse dal lavoro verso consumi e proprietà.

Le due prese di posizione, che appaiono, ad una prima lettura, esprimere due linee in contrasto, se lette meglio, mostrano un’assoluta unità d’intenti. Il Commissario lettone esprime la strategia della politica europea, mentre quello francese ne enuncia la tattica. I tecnocrati comunitari vogliono che in Italia si aumenti l’Iva e crescano le patrimoniali, soprattutto, ovviamente, sulla casa e, più in generale, sugli immobili. Colpire i consumi significa abbassare drasticamente il tenore di vita della popolazione e, in modo particolare, dei suoi strati più poveri, nella tradizionale ottica della Sinarchia, volta ad immiserire fasce sempre più larghe della popolazione. Questo obiettivo verrebbe potenziato da un aumento della già pesante tassazione sugli immobili, che colpirebbe la stragrande maggioranza della popolazione, che in Italia è proprietaria di casa; se a questo si dovesse aggiungere, sempre come costantemente richiesto dagli organi comunitari, un aumento delle tasse di successione, si assesterebbe un colpo durissimo al ceto medio e medio-basso del nostro popolo, impedendogli, di fatto, non solo la possibilità pratica di costituirsi un piccolo patrimonio, ma, addirittura, l’uccisione della stessa speranza di poterlo fare.

Queste finalità sono contraddette in maniera esplicita e plateale dagli intendimenti di politica economica del Governo italiano. Ecco che gli eurocrati, pur ribadendole, per bocca di Dombrovskis, sperano di poterle attuare, almeno in una prima fase, con la blandizia, pur sempre ammantata di minaccia, del Commissario francese: sperano di poter persuadere l’Esecutivo o, almeno, i suoi esponenti meno esperti ad accettare suggerimenti che, indipendentemente dai livelli di deficit, spostino la pressione fiscale nella direzione desiderata.

Ancora una volta si dimostra che il “dogma” marxista e, più in generale, di tutti i seguaci delle dottrine economicistiche, che afferma essere l’economia a guidare ed a dover guidare la politica e non viceversa, nasconde soltanto una cattiva politica economica, destinata a danneggiare l’economia.

 

[1] Per deficit si intende l’eccesso di spesa sugli incassi nel corso dell’anno considerato.

[2] Per «clausole di salvaguardia» si intendono quelle normative che prevedono l’introduzione automatica di nuove tasse o di, meno frequenti, tagli di spesa, qualora nell’anno successivo si dovessero verificare scostamenti dagli obiettivi concordati con le Autorità europee.

[3] Disavanzo è sinonimo di deficit.

 

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1 commento su “Le pressioni del “dogma” economicista sul Governo italiano”

  1. Unica strada è quella di votare “no” in ogni occasione sino a paralizzare il governo dei Commissari europei. Se dovessero arrivare ad espellerci dall’euro avremmo tutti i vantaggi perché potremmo adottare le scelte a noi più favorevoli senza doverle mercanteggiare. Attualmente per noi la moneta unica è una moneta straniera, che ci toglie qualsiasi possibilità di percorrere una strada a noi favorevole. Gli euro del “quantitative easing” sono andati alle banche che hanno investito alla grande nei sistemi industriali di tutto il mondo, dimenticando l’Europa ed in Particolare l’Italia. È necessario tornare alle banche di stato. Speriamo che Trump vinca le primarie ….

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