Le Terre di Margherita / II

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Le Terre di Margherita

 

 

L’anno del “Miracolo di Torino”, il 1453, fu un anno difficile per Margherita di Charny, l’anno in cui ella si separò dalla Sindone.

Nel corso della prima metà del 1400, per l’acuirsi della Guerra dei cento anni, Margherita de Charny ritirò la Sindone dalla chiesa di Lirey e la portò con sé nel suo peregrinare attraverso l’Europa.

Goffredo di Charny, cavaliere di Normandia, padre di Goffredo II, aveva depositato la Sindone a Lirey, oggi un piccolo villaggio del dipartimento dell’Aube, ad alcuni chilometri a sud di Troyes, nella Champagne e qui è documentato che la Sindone vi si trovasse nel 1357 e che appartenesse alla famiglia de Charny. Nel non lontano Belgio, a Lier nella chiesa di Saint Gommaire, c’è la copia più antica che si conosca (1516), attribuita a Albrecht Dürer o almeno alla sua scuola, interessante per tracce di bruciature e le scritte, una in latino e una in dialetto tedesco. Goffredo I aveva portato la Sindone a Lirey oltre un secolo prima, nel 1353, per difenderla dalle continue scorrerie belliche in Francia e per allontanarla dal Vescovo di Troyes, Enrico di Poitiers, il quale vantava il diritto di avere la Reliquia per aver difeso le terre dalle incursioni francesi. E’ chiaro che la preziosa Reliquia richiamava molti pellegrini che, recandosi a venerarla, lasciavano offerte in denaro spesso piuttosto generose. Nonostante l’opposizione del Vescovo, nel 1356, il figlio del cavaliere di Charny, Goffredo II, prese la Sindone e la custodì a casa propria, pur consentendo ai pellegrini di andare a venerarla. In quell’anno, il padre, Goffredo I morì. Qualche anno dopo, Goffredo II restituì la Sindone ai canonici di Lirey, i quali, nel 1418, per sottrarla a nuovi ed insistenti pericoli, la affidarono a Umberto de la Roche, marito di quella Margherita figlia di Goffredo II e nipote del cavaliere, che poi la diede ai Savoia.

Il Sudario dalle mani di Umberto fu trasferito nel castello di Monfort a Sant’Hpolyte-Sur-le-Dubs in Borgogna, capoluogo della contea dei de La Roche, ove per 20 anni, periodicamente, avrebbe avuto luogo un’Ostensione che vedeva di anno in anno aumentare la folla di fedeli e curiosi al punto che fu necessario trasferirsi dalla cappella e dal salone del castello in un grande prato sulle rive del Dubs da allora chiamato “Prato del Signore”.

Nell’agosto del 1438 con la morte di Umberto de La Roche, Margherita riunì il consiglio di famiglia per decidere, tra l’altro, riguardo al Santo Sudario del quale i canonici di Lirey avevano probabilmente già reclamato la restituzione. L’intenzione di Margherita era quella di portare la Reliquia il più lontano possibile dagli occhi e dai loro desideri di possesso. La risposta fu che da quel momento fino alla morte avvenuta il 7 ottobre 1460 Margherita non ebbe pace e fu ripetutamente citata in giudizio dai canonici di Lirey presso i tribunali civili ed ecclesiastici perché restituisse alla Collegiata il Santo Sudario. Dalle sentenze emesse dai tribunali si osserva che Margherita non negò il diritto di proprietà dei canonici, i quali erano preoccupati per la sicurezza e le cure di cui necessitava la Sindone, date le circostanze di continue guerre. Si trattava dunque di semplice diritto di patronato che era stato concesso a Goffredo I ed ai suoi successori.

Rimasta vedova, la contessa Margherita, si recò alla corte Savoia di Ludovico e Anna per chiedere di aiutare un certo Francesco, marchese della Palud, a salvarsi dai Turchi. Aveva portato con sé la Sindone ed avrebbe dovuto riportarla a Lirey. Francesco fu liberato, Margherita tornò, ma senza la Sindone.

Benché il commercio delle reliquie fosse proibito, non era stato proibito che i canonici di Lirey ne traessero un bel guadagno in quegli anni in cui il Lenzuolo si trovava ancora nelle mani di Margherita. Gli atti di quel periodo attestano che Margherita chiese al Duca Ludovico II di poter cedere i suoi diritti sul feudo di Varambon in cambio della città e del castello di Mirabel, vicino a Lione. Proponeva inoltre che le fosse assegnata una rendita vitalizia mentre cedeva contestualmente al Duca un suo credito di 4000 scudi nei confronti di suo nipote, il marchese Francesco de La Palud. Il Duca concesse la permuta del feudo di Varambon con quello di Mirabel con la clausola che non fosse trasmissibile in via ereditaria, ed un vitalizio di 100 fiorini, con la contemporanea acquisizione da parte sua del credito nei confronti di la Palud. Motivo –si legge nei documenti – della donazione di «numerosi e lodevoli servigi» che la «generosa e cara cugina, la carissima signora Margherita di Charny, contessa de La Roche, aveva reso al Duca». Quello che non c’è scritto è cosa sarebbe stato concesso di reale e dello stesso valore da Margherita. Quello che si sa è che in seguito la Sindone si trovò in possesso dei Duchi di Savoia. E come icona sulle monete ducali, la scritta: Sancte Syndon Domini Iesus Christi. Attorno agli eventi documentati sorgono numerose e differenti varianti di leggende che nel tempo si tramandarono e modificarono.

Nell’ambito di una serie di atti giuridici intercorsi tra il Duca Ludovico e Margherita di Charny, Ludovico si impegnava a versare al capitolo 50 franchi d’oro all’anno ricavati dalle entrate del castello di Gaillard vicino a Ginevra. Ludovico ed Anna diedero la Sindone in custodia ai francescani nella loro chiesa fino a quando fu terminata la cappella del castello di Chambery voluta dall’ottavo Duca di Savoia, Filiberto II detto il Bello, l’11 giugno 1502.

La Santa Sindone diventò proprietà dei Savoia nell’anno in cui, il 6 giugno, ci fu il «Miracolo di Torino». Una coincidenza che agevolava, rafforzandola, l’idea che quella Reliquia potesse proteggere chi la custodisse. Altresì si radicava la sensazione che il destino di Casa Savoia fosse molto più che un destino, fosse un disegno divino, un regno benedetto, insignito dall’alto. I segnali certo non mancavano. Il fatto di essere, quello dei Savoia, un piccolo Ducato, piccolo e circondato da grandi potenze, significava essere costantemente coinvolti nelle dispute internazionali, un punto di intersezioni tra culture diverse con cui convivere e da cui difendersi. A stagioni alterne, ora una potenza ora un’altra, chiedevano al Duca Savoia di turno ora alleanza, amicizia, soldati, nonché di schierarsi a favore o contro una posizione o una scelta. La posizione centrale e strategica di Ginevra prima e Chambery a seguire, era ambita dai regnanti che con essa confinavano, soprattutto dal Re di Francia che maturava la convinzione di doversi impadronire del territorio sabaudo. Nevralgico per gli equilibri dell’assetto politico dell’Europa, il Ducato di Savoia si trovava, in quel primo ‘500, a confrontarsi con il diffondersi di una nuova confessione religiosa, quella capeggiata da Calvino che, a partire dal 1517, aprì una lunga era di aspri conflitti all’interno del mondo cristiano. Ginevra fu la prima città ammaliata dalle promesse calviniste ed i Savoia, l’abbandonarono per stabilirsi a Chambery. Un po’ alla volta, il Ducato rinunciava ai suoi territori e guardava sempre più al di qua delle Alpi e a quelle terre che nessuno avrebbe potuto conquistare, le Terre di Margherita.

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Cappella della Sindone – Castello di Chambery

 

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