Una eccezionale Mostra a Torino dedicata a Filippo Juvarra, regista di Corti e Capitali, in Italia e in Europa

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Se Torino comprendesse realmente e profondamente il patrimonio storico, architettonico e artistico che possiede diverrebbe un polo culturale di enorme attrattiva alla stregua delle grandi capitali d’Europa. Tutto ciò necessita molto studio, molto impegno e molta determinazione, come emerge, per esempio, da una straordinaria mostra inaugurata venerdì 5 marzo in streaming, a causa delle ristrettezze in tempo di emergenza sanitaria, alla Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino: Filippo Juvarra. Regista di corti e capitali dalla Sicilia al Piemonte all’Europa, che rimarrà allestita fino al 31 maggio e aperta al pubblico appena la coloritura della regione Piemonte si tingerà di giallo.

L’esposizione proviene dalla raccolta dell’ingente e prestigioso fondo di disegni e stampe che provengono dalla biblioteca ducale e dalla confluenza dei fondi gesuitici, dei più grandi artisti di tutti i tempi, fra cui il patrimonio grafico del Corpus juvarrianum, a firma dello stesso Juvarra e dei suoi allievi. Siamo di fronte ad uno straordinario apparato di carte che testimoniano genialità, rigogliosa creatività, impegno, costanza con svariati progetti di studio per diverse opere: chiese, scenografie teatrali, modelli accademici, abbozzi di apparati decorativi…

La mostra e il relativo ed eccezionale catalogo sono il risultato di un lavoro di squadra fra la Biblioteca Nazionale stessa e il Centro Studi Piemontesi, l’Associazione Amici della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino e il Dipartimento Interateneo di Scienze e Progetto e Politiche del Territorio del Politecnico di Torino; un lavoro che è stato sostenuto dalla Fondazione Compagnia di San Paolo con la collaborazione di altri Enti, fra cui la Fondazione CRT, Reale Mutua,  le Residenze Reali Sabaude, la Fondazione Ordine Mauriziano e di Palazzo Madama-Museo Civico d’Arte Antica di Torino.

La cospicua raccolta di disegni del celebre architetto e dei suoi collaboratori fu acquisita dalla Biblioteca negli anni 1762-1763, andandosi ad arricchire nel 1857 dell’album noto con l’attuale segnatura «Riserva 59.4», l’unico composto dallo stesso Juvarra, compreso il titolo: Penzieri diversi p. studio d’architettura fatti da me D. Filippo Juvarra a 9 luglio 1707 in Roma.

La mostra è corredata da un corposo volume, edito dal Centro Studi Piemontesi, che ospita saggi di grande interesse per offrire un inquadramento storico, artistico e culturale della produzione juvarriana, e anche l’inventario aggiornato dell’intero Corpus Juvarrianum.  La magnifica opera[1], a disposizione non solo degli addetti ai lavori, ma di tutti coloro che amano conoscere, approfondire, sorprendersi, è curata da Franca Porticelli, Costanza Roggero, Chiara Devoti, Gustavo Mola di Nomaglio. Al centro della pubblicazione si trova un lavoro di grande valore e pregio: la pubblicazione del repertorio degli album del Corpus Juvarrianum che ha richiesto una lunga e laboriosa azione di revisione delle schede cartacee che lo accompagnavano, trascritte e uniformate da Giulia Bergamo, tutte aggiornate e riverificate sui disegni originali da Maria Vittoria Cattaneo ed Elena Gianasso, con la collaborazione di Fabio Uliana, fino all’organizzazione grafica del repertorio finale, curata da Luisa Montobbio. Si associano i preziosi contributi di: Clelia Arnaldi di Balme, Nicola Badolato, Giulia Bergamo, Paola Bianchi, Giosuè Bronzino, Maria Vittoria Cattaneo, Paolo Cornaglia, Annarita Colturato, Chiara Devoti, Enrico Genta Ternavasio, Elena Gianasso, Andrea Merlotti, Gustavo Mola di Nomaglio, Franca Porticelli, Giuseppina Raggi, Costanza Roggero, José Luis Sancho Gaspar, Cristina Scalon, Fabio Uliana, Franca Varallo. Contributi che non si soffermano solo sulla ricchissima figura di Juvarra, ma in particolare sul milieu culturale juvarriano, che ha avuto floridi benefici in diversi ambiti europei.

«Il corpus è vanto di Torino e della Biblioteca Nazionale Universitaria che è, con i suoi patrimoni di enorme valore, un fiore all’occhiello della città», scrivono Giuseppe Pichetto e Albina Malerba, rispettivamente Presidente e Direttore del Centro Studi Piemontesi. «Forse nessun altro paese, nessun’altra città, come Torino, può consentire d’intraprendere un viaggio e un percorso architettonico d’età barocca costellato di tante realizzazioni prestigiose. Di testimonianze cariche di storia e di evocazioni di pregressa gloria, capaci ancor oggi d’offrirsi allo sguardo dei visitatori non solo felicemente conservate e fascinose – singolarmente e nel loro insieme – ma anche, in determinate aree del centro, in un susseguirsi di pregevoli realizzazioni quanto mai serrato, talora stupefacente»[2].

Ed è così che si sono avvicendati, su istanza di Casa Savoia, dal primo architetto civile Juvarra, a Carlo (1571-1640) e Amedeo (1613-1683) di Castellamonte a tutti gli altri architetti di valore, nomi di rilievo nella realizzazione di piani vasti e magnificenti che si incastonano perfettamente e in armonia con i panorami non solo urbani di Torino, ma in diverse realtà geografiche subalpine che sono ancor oggi testimoni di fondamentali presenze di vera Arte, con castelli, chiese e dimore, la cui edificazione accompagnò l’espansione geo-politica dei Savoia: «un regno in continua crescita, in continuo dialogo con le maggiori potenze d’Europa non poteva non competere per sfarzo e ricchezza di patrimoni ambientali e culturali, retto da una dinastia che nel continente rivestì ruoli primari, l’alleanza con la quale, a livello matrimoniale, politico, militare fu costantemente ambita e ricercata dai principali sovrani, come degli imperatori d’Occidente e d’Oriente sin dal secolo XI»[3].

Lungi dall’essere una casata “provinciale”, la dinastia sabauda rappresenta al meglio l’idea dell’unità europea, che ebbe nel tempo del Sacro Romano Impero, durato circa mille anni, la sua espressione più plastica ed efficace, tanto ad arrivare persino alla possibilità di salire sul trono d’Inghilterra, possibilità infranta a motivo di una ferma decisione: non abiurare alla fede cattolica per abbracciare quella anglicana. I diritti successori sul regno giunsero nel XVIII secolo, ma il prestigio era già presente nel Medioevo, si pensi al ruolo di primo piano di Eleonora di Provenza (1223 ca.-1291), figlia di Beatrice di Savoia (1206 – 1266) e moglie di Enrico III (1207-1272) d’Inghilterra, ma anche a quello del beato Bonifacio di Savoia (1217 ca. – 1270), arcivescovo di Canterbury. «Proprio attraverso l’osservatorio anglosassone», spiega Gustavo Mola di Nomaglio, «David Carpenter afferma, letteralmente, che alla metà del Duecento i “tentacoli” sabaudi si estendevano su tutti i troni d’Europa. In quegli anni la potenza dei Savoia oltremanica era sottolineata dai ruoli rivestiti da due dei figli di Tommaso I, Bonifacio, arcivescovo di Canterbury e primate d’Inghilterra e il settimogenito, Pietro II, potentissimo zio della Regina Eleonora, passato alla storia, per tante vittorie e conquiste, come “il Piccolo Carlo Magno”, conte di Savoia, sovrano del Vaud e del Faucigny, marchese in Italia, conte, tra l’altro, di Romont. Nel regno inglese, detenne amplissimi poteri: ebbe tra l’altro, nel 1241 la carica di “Lord guardiano dei cinque porti” e fu conte di Richmond»[4].

Nel terzo centenario della sua istituzione, la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino ha voluto perciò celebrare il suo anniversario con un eccellente omaggio al grande architetto messinese, permettendo al pubblico di fruire ‒ nella sala espositiva che sarà intitolata allo stesso Filippo Juvarra ‒ del Corpus Juvarrianum nel suo complesso e in duplice forma: quella fisica, dei volumi originali esposti, e quella animata, con lo sfoglio di tutti gli album, grazie all’allestimento digitale di Tomaso Cravarezza e Marzia Gallo.

Gli album esposti offrono il profilo di un artista di forte impatto, dentro e oltre il barocco: non solo geniale architetto, ma anche vedutista, scenografo, interior designer… Tre i filoni nei quali si dipana il percorso espositivo, arricchito da un apparato multimediale che permette lo sfoglio di tutto il corpus su monitor a parete: il primo dedicato agli studi di Juvarra e dei suoi collaboratori, concernenti alle architetture religiose e civili; il secondo ripercorre l’attività di Juvarra scenografo, in particolare negli anni romani, fra il 1709 e il 1714; la terza sezione è dedicata al legame storico e politico fra Sicilia, Piemonte ed Europa.

L’iniziale formazione artistica di Filippo Juvarra avvenne nell’importante bottega paterna di argenteria di Messina, nella quale furono attivi anche quattro suoi fratelli maggiori, tra cui Francesco Natale, autore della biografia (1736 ca.) che costituisce la fonte più attendibile sulle vicende giovanili dell’architetto di fama internazionale. Fu proprio eseguendo bassorilievi in argento che l’adolescente Filippo, «di naturale molto vivace, e di buonissimo intelletto», manifestò le prime espressioni artistiche, praticate al contempo degli studi ecclesiastici, ai quali fu avviato all’età di dodici anni.

Juvarra fu cesellatore, pittore, architetto, come bene ebbe a definirlo Francesco Susinno nel 1724. Pronunciati i voti sacerdotali nel 1703, Juvarra si trasferì a Roma al fine di perfezionare le proprie conoscenze teoriche e pratiche dell’architettura e delle arti in genere. Vi giunse, sotto la protezione di influenti membri della Chiesa appartenenti alla famiglia Ruffo (committente della bottega paterna), nell’estate del 1704 all’età di ventisei anni e fu ospite dei Passalacqua in via dei Leutari, all’interno di un quartiere densamente abitato da messinesi.

Studiò come autodidatta, come riportano le notizie biografiche, sui trattati di Marco Vitruvio Pollione (81 a.C. – 15 a.C.), Jacopo Barozzi da Vignola (1507-1573) e di Andrea Pozzo (1642-1709) e con la protezione di monsignor Tommaso Ruffo (1663-1753) entrò in contatto con il ticinese Carlo Fontana (1638-1714), l’architetto e docente di architettura in quel tempo più noto di Roma, dove si formò sulla linea della tradizione architettonica del Seicento romano, orientato alla linearità e all’organizzazione spaziale in chiave monumentale.

Roma, Napoli, Lucca e Torino. I pensieri architettonici di Filippo Juvarra furono dominati da temi aulici. Nei suoi album ricorrono disegni di giganteschi palazzi e ville principesche, colonne e archi trionfali, anfiteatri e monumenti equestri. Essi riflettono, oltre all’essenza profonda della sua ispirazione a un antico idealizzato, un crescente desiderio di affrontarne i soggetti al servizio di una delle corti d’Europa che in quel tempo celebravano il successo di numerosi architetti italiani, sia direttamente, sia attraverso progetti inviati per corrispondenza. In questo contesto si inserisce il magniloquente progetto di Juvarra, rimasto allo stato preliminare, di un palazzo a otto cortili approntato per il langravio Carlo di Assia-Kassel (1744-1836), originato probabilmente da una sorta di concorso fra gli architetti romani.

Mentre nutriva speranze di una chiamata alla corte reale francese di Luigi XIV, venne accolto in quella cardinalizia del veneziano Pietro Ottoboni (1667-1740), procancelliere apostolico, in procinto di essere nominato protettore del Regno di Francia. Al di là delle mansioni di cappellano assegnategli ufficialmente, svolse il ruolo di regista delle plurali iniziative artistiche connesse particolarmente all’attività teatrale, proponendosi come un eccezionale scenografo. L’alloggio romano fornitogli dal cardinale nel palazzo Ornani De Cupis in piazza Navona divenne laboratorio di un gran numero di scenografie teatrali, alcune realizzate, altre rimaste sulla carta. Fra le prime vi furono quelle dei burattini, quasi a misura d’uomo, messe in scena dal cardinale Ottoboni fra il 1710 e il 1712 nel teatro della Cancelleria, ristrutturato dallo stesso Juvarra, fra luglio e dicembre del 1709, e nel 1714 nel teatro Capranica, del quale sistemò il palcoscenico nel 1713. Ricordiamo anche le scenografie allestite dalla regina di Polonia in esilio Maria Casimira d’Arquien (1641-1716), vedova di Giovanni III Sobieski (1629-1696), protagonista e artefice degli ultimi splendori del Regno di Polonia.

Grazie agli auspici dell’amico conterraneo e arcade Francesco d’Aguirre (1682-1753 ca.) venne chiamato da Vittorio Amedeo II (1666-1732) di Savoia, divenuto re di Sicilia dopo il trattato di Utrecht del 1713 e che si trovava proprio nell’isola per ricevere la corona; contemporaneamente era in cerca di un successore all’architetto di corte Michelangelo Garove (1648-1713). L’incontro avvenne alla metà di luglio 1714 e il sovrano gli chiese un progetto di ampliamento del Palazzo reale di Messina. L’intesa fu immediata e all’età di trentasei anni Juvarra poté coronare la sua aspirazione di misurarsi con le ambizioni edilizie di un Re. Nominato «primo architetto civile» del Regno sabaudo, già prima di imbarcarsi, il 1° settembre 1714, da Palermo alla volta di Torino (dove giunse tra la fine di settembre e i primi di ottobre), Juvarra prestò giuramento il 14 dicembre seguente. Tanto fu il suo entusiasmo per il nuovo e prestigioso incarico, che nello stesso giorno dell’arrivo nella capitale del Regno di Vittorio Amedeo, il 10 ottobre 1714, produsse il suo primo disegno “sabaudo”: un rapido schizzo per il nuovo altare della Sacra Sindone – palladio di Casa Savoia, Regina di tutte le reliquie della Storia della Chiesa  – custodita e adorata nel Duomo della città, atto che inaugurò al meglio il forte rapporto che intercorse fra Vittorio Amedeo II e il Maestro, legame che si fondò su incalzanti sollecitazioni dell’uno e repentine soluzioni creative dell’altro.

L’obiettivo che accomunava entrambi era quello di qualificare con i segni e i significati architettonici della Romanitas la città capitale, Torino, mantenendo la continuità con lo sviluppo urbanistico già chiaramente prefigurato e orientato dal programma ideale riflesso nelle incisioni del Theatrum Statuum regiae celsitudinis Sabaudiae ducis… (Amsterdam 1682), seguito da Vittorio Amedeo fin dall’inizio del suo ducato (1684), attraverso operazioni architettoniche influenzate dalla cultura di corte francese, ma che dalla quale voleva, almeno in parte, affrancarsi.

Nell’estate del 1715, Juvarra dà un impulso decisivo alla riorganizzazione del sistema statale di gestione delle Fabbriche regie. Allo stesso tempo, come mai nessuno dei suoi predecessori sul suolo torinese, grazie alle sue manifeste competenze interdisciplinari, riuscrà a concentrare sotto il proprio controllo l’intero processo ideativo ed esecutivo, ponendosi al vertice di un’imponente macchina edilizia, pronta a seguire direttamente anche l’impostazione e l’esecuzione dei cicli decorativi.

I primi frutti della febbrile attività del grande architetto si vedono, con meraviglia di tutti, nell’imponente Real basilica di Superga dedicata alla Madonna delle Grazie (dal 1715 al 1727-31), voluta da Vittorio Amedeo come tempio mariano votivo (vittoria contro l’assedio francese del 1706) e come mausoleo sabaudo, a prolungamento della direttrice prospettica virtuale tra il castello di Rivoli e la porta Susina; ma anche nelle facciate delle chiese gemelle della seicentesca place royale di San Carlo, commissionategli dalla madama reale Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours (1644-1724), di cui viene realizzata solo quella di Santa Cristina (1715-1718). Tali opere presentano chiari riferimenti stilistici all’architettonica romana, da Michelangelo a Carlo Fontana, analoghi riferimenti sono riscontrabili anche nel progetto di ricostruzione della chiesa torinese di San Filippo Neri, il cui progetto viene approvato dallo stesso Orario filippino di Torino, posto sotto la protezione sabauda, realtà con la quale Juvarra intrattiene importanti rapporti, tanto che, invece di prendere dimora all’interno del complesso dei palazzi reali, partecipando alla vita di corte, come per esempio fecero gli architetti Garove e Benedetto Alfieri (1699-1767), sceglie, per un decennio, di abitare nel convento dei Filippini; poi, fra il 1724 e il 1726, si costruisce una propria casa-studio, su un terreno che Vittorio Amedeo II gli aveva donato nel 1720, in via di San Domenico.

Durante la sosta invernale dei molteplici cantieri dell’efficiente organizzazione delle sue maestranze, Juvarra diventa protagonista di una vigorosa e fertile diplomazia delle arti fra Torino e le capitali europee, in tal modo diventa uno degli architetti di riferimento e più capaci di concretizzare le istanze rappresentative del potere regio. Proprio nei mesi invernali egli sosta in particolare a Roma, dove coltiva i molteplici rapporti intessuti con gli esponenti della cultura artistica d’Europa nel quadro strategico delle crescenti occasioni di committenza per la decorazione delle fabbriche sabaude.

La stretta collaborazione e complicità, perché tali furono, che viene a stabilirsi fra l’architetto e re Vittorio Amedeo II diventa pressoché quotidiana per porre in essere i progetti in una vorticosa rincorsa contro il tempo e proprio per questo alcuni cantieri vengono accelerati, mentre altri sospesi per dare spazio ad altre iniziative, mentre altri piani vengono definiti nel dettaglio, tuttavia neppure avviati… e poi, ancora e in abbondanza idee e suggestioni, testimoniate da semplici schizzi. Un proliferare di intuizioni, di pensieri, di impianti, di proposte e controproposte. E, quindi, di pareti alzate, di portoni forgiati, di campanili innalzati al cielo…

La Venaria reale , costruita su progetto di Amedeo Castellamonte e lasciata interrotta alla morte di Michelangelo, si dipinse di suggestioni juvarriane con il completamento della galleria di Diana e del padiglione di testa e la realizzazione della chiesa di Sant’Uberto; questo rapporto dialettico coinvolse anche il castello di Rivoli, dove Juvarra partendo dal lavoro del Garove riqualificò parzialmente il corpo centrale della fabbrica; nel Palazzo Reale inizia un processo di sistemazione con la nuova scala delle Forbici, progettata e costruita trecento anni fa (1720-1721); inoltre viene rifatto l’antico teatro Regio (1722-1723) e soprelevato il campanile del Duomo (1720-1723).

Nella dedica del volume di disegni che invia nel 1725 in dono al conte Traiano Roero di Guarene (1767-1837)  spiega la sua concezione di architettura, ammirando la «sodezza dell’arte secondo l’insegnamento di Vitruvio e Palladio e di tutti i più celebri Autori: di qual sodezza io sono sempre stato amatore e del semplice, in cui ogni arte riconosce, a mio credere, la sua perfezione, non è però che io abbia negletto gli ornati, ma me ne son servito con sobrietà ed ho procurato a tutto mio potere d’imitare in questo lo stile del cavalier Borromini, il quale più di ogni altro ha ornato i suoi disegni ed ha introdotto cotal genere nel Popolo».

Le strade di Torino diventano fucina di lavoro alacre e di bellezza sacra e profana. Si erge il Palazzo degli Archivi di corte (1731) e si compiono ristrutturazioni interne: nell’Accademia militare (1726-1727, 1730-1731), nel Palazzo reale (1730-32) e intanto prende forma, ma solo sulla carta, il Duomo nuovo, per il quale Juvarra si impegna dal 1728 al 1730, elaborando più versioni, accomunate da una grandiosa visione spaziale ispirata al San Pietro di Bramante (1444-1514) e di Michelangelo (1475-1564). Inoltre si occupa della sistemazione della contrada di Porta Palazzo con la combinazione di espansioni polari sul raddrizzamento dell’asse stradale preesistente (1729-1732).

Nel quadro degli interventi di ristrutturazione che interessano pressoché tutte le residenze regie urbane ed extraurbane, a partire dal 1729 inizia l’edificazione della palazzina di Stupinigi: padiglione di caccia e palinsesto funzionale alla celebrazione della corte. L’impianto a bracci incrociati in diagonale irraggiati dall’ovale del salone centrale, oltre a modulare geometricamente il rapporto fra architettura, paesaggio e città, al culmine di una lunga sperimentazione sul tema, stabilisce una scenografica a declinazione architettonica, audace strutturalmente e innovativa per chiarezza e permeabilità degli spazi. Magistrale progettazione che diventerà matrice  dell’architettura europea del Settecento.

Fra il 1728 e il 1733 prosegue, in ambito del sacro, il confronto con la tradizione romana e talvolta se ne distanzia, come avviene nel caso della scomparsa chiesa di Sant’Andrea a Chieri, a croce greca lobata o interpretandola dialetticamente, come nella serie di altari che aggiunse ai molti già realizzati allargando le applicazioni sperimentali nella prediletta linea interpretativa di Bernini (1598-1680), Pietro da Cortona (1596-1669) e Pozzo (1642-1709), come dimostra negli altari maggiori del santuario della Consolata (1729) e della chiesa dei Santi Martiri (1730-34), gli altari della S.te-Chapelle nel castello di Chambéry, realizzato a Torino (1726-27), di San Francesco di Sales nella chiesa della Visitazione (1730) e di San Giuseppe nella chiesa di Sant’Andrea a Savigliano (1728-33).

Il conferimento del titolo di abate di Selve da parte di Vittorio Amedeo II, nel Natale 1727, viene a coronare la professionalità di Filippo Juvarra, come il più autorevole architetto italiano. Con fierezza si fregiò del titolo di cavaliere che gli fu riconosciuto dall’Ordine portoghese del Cristo, di cui venne insignito da Re Giovanni V (1689-1750), durante il suo viaggio in terra lusitana, lo stesso Ordine che aveva decorato anche il suo maestro, Carlo Fontana. Da allora l’architetto di Casa Savoia prese a firmarsi: «Cavaliere don Filippo Juvarra, architetto».

Grazie a Juvarra la capitale sabauda divenne polo d’eccezione dell’architettura europea fino a incrinare la sudditanza con la Francia. Il volume del Cavaliere e Abate, divenuto «architetto delle capitali», dedicato alle Memorie sepolcrali (1735), una raccolta di disegni per monumenti funebri dedicati idealmente a importanti condottieri e ad artisti e letterati defunti che egli aveva conosciuto personalmente, costituisce sia una galleria di ricordi, sia un bilancio di una straordinaria esistenza.

Il re di Spagna Filippo V (1683-1746) lo chiamò a Madrid per il completamento del Palazzo Reale; ma vi trovò la morte, il 31 gennaio 1736, all’età di 58 anni, stroncato da una polmonite. I funerali si celebrarono nella capitale spagnola a spese della dinastia borbonica, e fu sepolto nella chiesa parrocchiale di San Martin y del Sacramento, distrutta nell’Ottocento, e non «nel muro sotto la soglia della porta principale» della Basilica della Madonna delle Grazie di Superga, come aveva espresso nelle sue volontà stilate nel testamento, redatto prima di partire per Madrid.  «Dispiace», scrive Andrea Merlotti, direttore del Centro Studi delle Residenze Reali Sabaude, membro del Comité scientifique del Centre de recherche du Château de Versailles e membro del Comitato scientifico del Centro Studi Piemontesi, «che Torino, tanto prodiga di onori verso personaggi dai nomi altisonanti, ma spesso autori di ben poco di utile e di buono, non abbia mai ritenuto, in quasi trecento anni, di porre per Filippo Juvarra almeno una lapide, vicino al suo re e di fronte alla città che egli aveva reso grande»[5].

 

 

[1] Filippo Juvarra. Regista di Corti e capitali. Dalla Sicilia al Piemonte all’Europa, a cura di Franca Porticelli, Costanza Roggero, Chiara Devoti, Gustavo Mola di Nomaglio, pp. XVII-490, ill. Prezzo di copertina € 40; prezzo riservato ai Soci del Centro Studi Piemontesi, con sede a Torino, € 25.

[2] Ibidem, p. IX.

[3] Idem.

[4] Ibidem, pp. 422-423.

[5] p. XVII.

 

 

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