Gesù è qui, per la rovina e la resurrezione, il resto non conta

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«Chiunque vuole appartenere a Cristo deve e dovrà sempre più prepararsi al martirio. Ognuno di noi, se è cristiano, è un martire in potenza. La sua presenza provoca l’odio del mondo. Come mai ti sei dimenticato della Parola di Dio da credere e insegnare la possibilità di un dialogo col mondo?».

Così scriveva nei suoi diari degli ultimi tempi, in vecchiaia (nel 1993), la grande e luminosa figura di don Divo Barsotti (1914-2006), teologo e mistico, schivo a qualsiasi forma di pubblicità, ma padre spirituale di innumerevoli anime.

Il cristiano è e sarà sempre urticante nei confronti del mondo. Il motivo è semplice: il mondo è posto nelle mani del maligno (1 Gv 5,19) e più volte nel Nuovo Testamento viene raccomandato di non amare il mondo né le cose del mondo, viene detto che il principe di questo mondo è per costituzione in contrasto con il Re del Cielo e della terra e Signore dei cuori, Cristo Gesù.

La prova più evidente dell’esistenza del demonio non sono gli indemoniati che vanno dall’esorcista, ma i santi. Prendete un santo e troverete immediatamente il mondo scatenato contro di lui: non lo sopportano, lo odiano, lo vogliono eliminare e sopprimere in ogni modo. Questo astio, in fondo, non si spiega se non usiamo le categorie teologiche. Per fare un esempio: che fastidio o che male poteva fare Rolando Rivi, seminarista quattordicenne ucciso dai partigiani vicino a Reggio Emilia il 13 aprile 1945 solo perché portava la tonaca da seminarista? Quale minaccia poteva rappresentare per quegli uomini un ragazzino innocuo che non faceva male a nessuno e che attendeva solo si riaprisse il Seminario per continuare il suo corso di formazione verso il sacerdozio? Non basta dire «quegli uomini ce l’avevano coi preti e con la Chiesa». Qui c’è qualcosa sotto di misterioso o, meglio, di più profondo, di invisibile. Ed è la lotta tra Cristo e l’Anticristo, tra Gesù e Satana. Ciò che richiama a Gesù dà fastidio. A chi? A Satana. Il quale si scaglia contro l’uomo che lo rappresenta e lo vuole sopprimere, perché tutto ciò che è per lui l’immagine di Gesù è anche il richiamo della sua rovina eterna.

Non si pretende che chi non ha fede capisca questo ragionamento. Ma non ci importa. «L’uomo del mondo non comprende le cose dello Spirito di Dio, esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito» (1 Cor 2,14). Questo è scritto, quindi non ci meraviglia che chi ragiona su queste cose con spirito mondano non capisca realmente i termini della questione.

Ma, allora, non ci può essere un dialogo tra la Chiesa e il mondo? Queste due forze irriducibilmente avverse sono destinate ad avere tra loro uno steccato invalicabile? Tutt’altro.

Vediamo la vita di Gesù. Egli dialogava. Eccome. Prendiamo la vita dei santi: essi dialogavano, senza dubbio. E nel modo migliore. Il loro parlare era suadente e dolce, un dire luminoso che si spandeva nei cuori degli uditori, i quali davanti alla parola di Vita erano costretti in qualche modo a posizionarsi: o l’accoglienza o il rifiuto. Ecco il termine corretto del concetto di dialogo cristiano: non si tratta di uno scambio di opinioni, ma di una parola di Vita che tende a generare vita. Il dialogo di Cristo con gli uditori assomiglia ad una semina (non a caso Gesù stesso usa il paragone del seminatore) più che ad uno scambio verbale. Il dialogo tende a portare l’uditore verso la Verità, ad aprirgli la porta del senso dell’esistenza. Non c’è nulla di casuale nel dialogo di Cristo e della Chiesa: non si parla per informare, ma per far nascere. «Se uno non nasce dall’alto – disse Gesù allo scriba Nicodemo – non può vedere il Regno di Dio» (Gv 3,3).

La forza creatrice del dialogo cristiano sta tutta nella volontà di portare gli uomini nel Regno di Dio e non di lasciarli nel mondo. Gesù dialoga persino sulla croce, quando era quasi impossibile parlare: egli si rivolge al buon ladrone. Ma non per scambiare opinioni sulla classe politica del tempo o sulle ingiustizie della società: per aprirgli per porte del Regno. Per questo tipo di dialogo, Gesù ha dato tutto, i santi hanno attraversato mari e monti vivendo in condizioni di disagio terribile, incuranti di malattie, privazioni, vessazioni di ogni genere (basti pensare la vita di san Paolo[1]).

Se questo è il dialogo cristiano, si capisce come colui che parla deve essere pronto al martirio, perché la furia del demonio non si arresta tanto facilmente: tenderà in tutte le maniere a sopprimere colui che parla, ossia il Cristo e la Verità incarnata.

Perché temere il martirio, allora? Esso è il dialogo per eccellenza: l’ultima parola del martire è l’affermazione della Verità, ossia l’attestazione che la Verità vale più della sua stessa vita.

Anche in questo caso: beato chi capisce. Non pretendiamo che gli uomini del mondo siano d’accordo (vedi passo della Lettera ai Corinzi citato sopra). Ma questo non ci importa, perché sappiamo che questa verità è quella della Parola di Dio, che non mente.

Il dialogo finale del testimone, che con la proclamazione della fede termina definitivamente le parole dette in questo mondo, si apre subito (il martire va direttamente in Paradiso) alla parola di lode che il beato dirà in eterno al suo Signore. È la vita del Figlio unigenito che si rivolge al Padre con espressioni di amore, perché Dio è amore.

Si capisce allora come questo tipo di dialogo sia di somma importanza nel mondo d’oggi, e anche il meno praticato, perché si è ridotto sovente l’annuncio a opinione. Gesù non ha fatto mai una conferenza in aule universitarie, ma parlava camminando o sedendo sui pendii del lago di Galilea. Egli chiede solo di essere creduto e accolto. E in cambio promette la vita eterna. Se ci si ferma sulle opinioni, si perde tempo e tutto diventa sterile.

Il fine del cristianesimo non è certo la pace dei popoli, perché nemmeno Gesù l’ha ottenuta, e nemmeno l’ha promessa, ma è la vita eterna.

Il santo è fecondo, perché semina con larghezza, sempre. Anche quando parla di pomodori o del tempo che farà. Alla fine, il santo diventa la Parola stessa che proclama. E, in tutti (o quasi), sorge un feroce desiderio di distruggerlo. Quindi, quando ci odiano, significa che si va bene. Sì, perché per uno che ci odia ci sarà uno che ci ama, e se ama accoglie il Verbo, e se accoglie il Verbo si apre alla Vita e conosce Dio. «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. (…) Non prego solo per questi, ma anche per crederanno in me mediante la loro parola» (Gv 17,3.20).

«Egli è qui per la rovina e la resurrezione di molti» (Lc 2,35). Non dimentichiamolo mai: resurrezione ma anche rovina. Tutto dipende da come si accoglie la Parola seminata.

La parola silenziosa di Rolando Rivi vale più di mille discorsi vuoti sulla pace del mondo, come anche l’incedere sereno e pacato di san Massimiliano Maria Kolbe verso il bunker della fame è assai più indicativo del Regno di Dio di qualsiasi marcia con chitarre e bandiere arcobaleno, che lascia il mondo come lo trova.

 

 

[1] 2 Cor 19, 33; 12, I-9.

 

 

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