Il cardinale Stepinac, martire due volte

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Alojzije Viktor Stepinac nacque l’8 maggio 1898 a Brezaric in Croazia, al tempo parte dell’impero asburgico.  Il paese si trovava nella parrocchia di Krasic, in diocesi di Zagabria. Dopo gli studi elementari nel natio paese, proseguì quelli liceali nel seminario arcivescovile di Zagabria, capoluogo croato. Conseguita la maturità nel 1916, venne poi arruolato nell’esercito austriaco e come ufficiale fu inviato sul fronte italiano, essendo in atto la prima Guerra mondiale. Fu fatto prigioniero dagli italiani nel luglio 1918, poi rilasciato nel dicembre successivo a fine guerra. In seguito fu volontario nella Legione Jugoslava ed inviato a Salonicco, rientrando in Croazia nella primavera del 1919. Nel frattempo aveva rinunziato all’idea di diventare sacerdote.

Nell’autunno del 1919 prese infatti a frequentare la Facoltà di Agronomia nell’Università di Zagabria, ma nel 1924 all’età di ventisei anni tornò a ravvivarsi in lui la vocazione sacerdotale, quindi si recò a Roma per studiare nel Collegio Germanico-Ungarico e all’Università Gregoriana, conseguendo le lauree in filosofia nel 1927 e teologia nel 1931.

Ordinato sacerdote il 26 ottobre 1930, celebrò la sua prima Messa nella basilica di Santa Maria Maggiore. Nel 1931 lasciò Roma per ritornare in Croazia, dove nel frattempo si era espanso, sin dal gennaio 1929, il regno serbo di re Alessandro, che divenne così Re di Jugoslavia. La situazione era difficilissima, poiché i Serbi facevano di tutto per estirpare la religione cattolica dalla Croazia in favore della fede ortodossa, loro religione di Stato. In mancanza di concordati con il Vaticano, i cattolici erano considerati cittadini di second’ordine, mentre agli ortodossi erano concessi tutti i privilegi possibili.

Stepinac ebbe incarichi nella Curia, anche quale primo presidente della Caritas diocesana, istituita per suo consiglio nel novembre 1931, dall’arcivescovo Bauer. Il 29 maggio 1934 papa Pio XI lo nominò, a soli 36 anni, vescovo coadiutore con diritto di successione dell’arcivescovo di Zagabria e il 7 dicembre 1937, morto l’arcivescovo Bauer, divenne titolare della diocesi ed in seguito anche presidente della Conferenza Episcopale Jugoslava.

Nel 1941 la Croazia divenne uno Stato indipendente con l’aiuto del nazifascismo, instaurandosi così il regime di Ante Pavelic, il quale seguendo l’esempio di altri dittatori prese a perseguitare alcune minoranze quali ebrei, zingari, dissidenti, serbi. Dal 18 maggio 1941 al 12 ottobre 1943 il titolo di Re di Croazia fu dato al principe italiano Aimone di Savoia-Aosta, che assunse il nome di Tomislavo II senza però mai prendere realmente possesso del trono. I serbi si trovarono in posizione opposta a prima del regime, nei confronti dei croati e quindi dei cattolici. L’arcivescovo Stepinac prese subito le difese dei perseguitati, proibendo ogni processo contro gli ortodossi, escludendo che venissero ribattezzati in caso di passaggio al cattolicesimo; intervenne per iscritto presso Pavelic per scongiurare che non venissero uccisi serbi privi di una provata colpa di delitto, domandando il 20 novembre 1941 «rispetto totale della persona, senza distinzione di età, sesso, religione, nazionalità e razza». Questa sua strenua difesa, specie per gli ebrei e gli zingari, lo portò a predicare pubblicamente il suo pensiero, al punto che il rappresentante tedesco a Zagabria ebbe a commentare: «Se un vescovo pronunciasse in Germania tali discorsi, non scenderebbe vivo dal pulpito». Pavelic mandò un inviato speciale in Vaticano per ottenerne la destituzione.

Al termine della Seconda Guerra Mondiale, vi fu un nuovo ribaltamento politico. L’8 maggio 1945 entrarono a Zagabria i partigiani comunisti di Tito, i quali cominciarono una lotta sistematica contro le attività religiose. Venne istituita l’OZNA, polizia segreta comunista, che arrestò, fece processare e condannare a morte migliaia di cittadini, colpevoli di non simpatizzare con il nuovo regime ateo.

Per questo molti sacerdoti cattolici e alcuni vescovi, furono imprigionati ed il 17 maggio 1945, toccò anche all’arcivescovo Stepinac, che però fu liberato il successivo 3 giugno per l’intervento di Tito. Questi aveva uno scopo: chiese al presule di staccarsi da Roma e di creare una Chiesa nazionale croata. La risposta dell’arcivescovo fu dura e ferma, quindi ripresero le persecuzioni contro la Chiesa Cattolica: furono uccisi i vescovi di Dubrovnik e Krizcevi, condannato a dodici anni di carcere quello di Mostar, arrestati quelli di Krk e Spalat; espulso da Zagabria l’inviato speciale del Vaticano, condannati a morte senza processo 369 sacerdoti, confiscati i beni della Chiesa.

L’arcivescovo Stepinac il 22 settembre 1945 fece pubblicare una lettera collettiva dell’episcopato croato che denunciava le ingiustizie subite dalla Chiesa, auspicando nel contempo un concordato tra Stato e Chiesa. Il regime comunista reagì furiosamente, Stepinac fu arrestato il 18 settembre 1946 e subì un processo-farsa messo in scena con false testimonianze e calunnie, svoltosi a Zagabria fra il 30 settembre ed il 10 ottobre. L’11 ottobre l’arcivescovo venne condannato a sedici anni di lavori forzati ed alla perdita dei diritti civili, compresi cinque anni dopo la fine della condanna. La sua colpa, agli occhi del regime, fu di aver rifiutato di organizzare una Chiesa nazionale. Il 19 ottobre 1946 fu rinchiuso nel carcere di Lepoglava in completo isolamento, fino al 5 dicembre 1951: gli era consentito solo la celebrazione della Messa e la lettura di libri religiosi; poi alla fine del 1951 venne confinato nel villaggio natio di Krasic, sorvegliato dalla polizia, ospitato nella parrocchia, senza esercitare il ministero episcopale.

Il 12 gennaio 1953 papa Pio XII lo creò cardinale, deplorando pubblicamente il regime che gli impediva di recarsi a Roma per la cerimonia, pena il non ritorno in patria. A seguito di ciò il regime di Tito ruppe ogni rapporto con la Santa Sede, instaurando di fatto anche in Jugoslavia quella che venne definita «Chiesa del silenzio» dei Paesi comunisti. Nel 1956 gli venne resa nota la lettera apostolica con la quale papa Pacelli lodava la fede eroica dei cardinali Mindszenty in Ungheria, Wyszynski in Polonia, Stepinac in Jugoslavia, vittime della persecuzione comunista atea, esortandoli a perseverare nella loro testimonianza. L’arcivescovo disse al parroco che l’ospitava: «Se il papa chiede il martirio e rifiuta ogni trattativa col comunismo, allora tutto mi è chiaro».

Intanto già dal 1953 la malattia contratta nel carcere di Lepoglava, esplose in tutta la sua virulenza, con diversi disturbi, sopportati coraggiosamente e pazientemente: trombosi alle gambe, catarro bronchiale, polycitemia rubra vera, infiammazioni, forti dolori causati da un grosso calcolo alla vescica. Lo stato generale si aggravò e inaspettatamente egli morì il 10 febbraio 1960, pregando per i suoi persecutori. Dopo la sua morte la polizia ordinò che tutti i suoi organi venissero distrutti dopo l’autopsia, per evitare ogni forma di culto.

Con un permesso speciale del governo, il 13 febbraio 1960, vennero solennemente celebrati i suoi funerali, nella cattedrale di Zagabria, presente l’intero episcopato jugoslavo e il clero, e da allora iniziò un pellegrinaggio ininterrotto alla sua tomba nella cattedrale. Negli anni numerose grazie sono state attribuite alla sua intercessione.

Il processo per elevarlo alla gloria degli altari iniziò a Roma il 9 ottobre 1981 e  culminò nella solenne beatificazione celebrata da papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 1998 nel santuario di Marija Bistrica a Zagabria. L’edizione 2004 del Martyrologium Romanum così lo ricorda al 10 febbraio: «Nella cittadina di Krašić vicino a Zagabria in Croazia, beato Luigi Stepinac, vescovo di Zagabria, che con coraggio si oppose a dottrine che negavano tanto la fede quanto la dignità umana, finché, messo a lungo in carcere per la sua fedeltà alla Chiesa, colpito dalla malattia e consunto dalle privazioni, portò a termine il suo insigne episcopato».

La fama di «ustascia» e di nazionalista attribuita a Stepinac dal regime di Tito purtroppo ha trovato credito a lungo. Ancora oggi in Serbia tanti danno retta a questa versione, tanto da influire sul proseguo della causa di canonizzazione. Infatti negli ultimi anni la Congregazione per le Cause dei Santi aveva preso in esame un presunto miracolo attribuito alla sua intercessione e lo sviluppo della procedura era positivo, infatti mancava solamente la firma del decreto di riconoscimento del miracolo da parte del Pontefice e fissare la data della cerimonia di canonizzazione. Ma tutto si è arenato sulla scrivania di papa Francesco, il quale ha preferito convocare un’apposita commissione per rivalutare il caso e l’ “opportunità ecumenica” dell’operazione.

Il 13 luglio 2017 la Sala Stampa della Santa Sede ha diramato un comunicato congiunto della Commissione mista di Esperti croati cattolici e serbi ortodossi per una rilettura in comune della figura del beato Luigi Stepinac, cardinale arcivescovo di Zagabria, riunitasi sotto la presidenza del Rev.mo P. Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche. Riconoscenti per la magnanimità di papa Bergoglio che con benevolenza ha accolto la richiesta del Patriarca della Chiesa Ortodossa Serba, Irinej, e ha optato la costituzione della Commissione, nonché per il clima cordiale in cui hanno potuto adempiere il loro mandato, i membri sono però giunti «alla conclusione che vari eventi, interventi, scritti, silenzi e prese di posizioni sono tuttora oggetto di interpretazioni varie», spesso divergenti. Consapevoli, fin dall’inizio dei lavori, che il processo di canonizzazione del cardinale Stepinac è di esclusiva competenza del Papa e riconoscendo inoltre che ogni Chiesa ha i propri criteri per procedere alla canonizzazione, i membri della Commissione hanno dichiarato di aver potuto, con lo studio della vita del cardinale Stepinac, imparare come nella storia tutte le denominazioni cristiane hanno crudelmente sofferto diverse persecuzioni. Perciò, a conti fatti, è stata paventata l’eventualità di una futura collaborazione per condividere la memoria dei martiri e dei confessori delle due Chiese. È passato circa un anno e mezzo da tale comunicato e tutto tace.

Il Papa sembra aver preferito evitare di canonizzare colui che sarebbe divenuto il primo santo martire ucciso dai comunisti nell’Europa dell’Est. Ma così Stepinac diviene martire due volte, a questo giro non più per mano di un regime ateo.

 

 

 

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4 commenti su “Il cardinale Stepinac, martire due volte”

  1. Sono d’accordo!! Mi dispiace molto la mancata canonizzazione di un martire fulgido come Stepinac!! Spero che in futuro la situazione cambi!!

  2. Fernando Tiberio

    Ĺa Chiesa ha tanti santi sconosciuti ai più, santi che non appaiono sui calendari, santi che però glorificano il Signore, su questa terra e nel Regno dei Cieli.
    Operare per l’unità dei Cristiani è cosa immensamente superiore alla canonizzazione di una persona che pure ha vissuto e svolto santamente la sua missione nel corso della sua vita terrena. Per il Dio di tutti i Cristiani ( cattolici, ortodossi, copti, ecc) egli è già un santo. Ed è questo ciò che conta.
    Trovo assurdo che persone, dichiaratamente cristiane, non si riconoscano nell’opera del nostro attuale Pontefice.
    Nessuno può sapere il travaglio di un uomo di Dio, costretto per ragioni superiori (unità dei cristiani), a non esacerbare il confronto tra cattolici ed ortodossi. Il nazionalismo è la tomba della religione.
    Lasciamo che, per il bene comune, sia il Signore a proclamare la santità del card. Stepinac.
    Lasciamo lavorare il nostro papa, pregando per lui e non lasciamoci abbindolare da quella pletora di falsi profeti, che da qualche tempo vanno spargendo veleno sul suo operato.
    Io credo fermamente nell’operato del nostro papa, perché rappresenta la volontà dello Spirito Santo, espressa in Conclave.
    Chi non crede a questo, dovrà chiedersi se appartiene ancora alla Comunione dei credenti.

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