La libertà educativa della Chiesa rivendicata da Pio XII, a sessant’anni dalla morte

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A sessant’anni dalla morte di Papa Pio XII (Roma 2 marzo 1876-Castel Gandolfo 9 ottobre 1958), la sua memoria è viva per la sua sacrale immagine e per i suoi insegnamenti che ricorrentemente circolano negli ambienti legati alla Tradizione della Chiesa, che si nutre del «si è sempre detto», ovvero, come dichiara il postulato di San Vincenzo di Lerin, «Magnopere curandum est ut id teneatur quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est» («Bisogna soprattutto preoccuparsi perché sia conservato ciò che in ogni luogo, sempre e da tutti è stato creduto»,  Commonitorium, capp. III-IV), ed è ciò che ha tentato di fare Pio XII, nonostante fossero non solo presenti, ma già pressanti i venti rivoluzionari: l’eresia modernista, che San Pio X aveva tentato di arrestare all’interno della Chiesa.

 

Giovanni Gasparro, Venerabile Pio XII Pontefice Massimo,

Olio su tela, 90 X 70 cm, 2016. Image copyright © Archivio dell’Arte / Luciano Pedicini

 

Pio XII ha sorretto la Chiesa nel tragico tempo della seconda Guerra mondiale con grande senso del dovere, con innate doti regali, con la responsabilità e la fede di un degno Vicario di Cristo, tanto da non perdere mai il controllo della situazione. Allo stesso tempo ha messo in campo direttive che saranno sempre valide per la vita cattolica, a differenza di quelle che verranno dopo il Concilio Vaticano II, le cui falle sono visibili da decenni e che saranno destinate ad essere sanate con le terapie della condanna degli errori commessi nel dialogare con il mondo e ad affidarsi al pensiero anticattolico di quel mondo nemico della Chiesa.

Fin dalla sua prima lettera enciclica del 20 ottobre 1939, Summi pontificatus, sul programma del suo pontificato, Pio XII mostra la sua ferma volontà di continuare la via tracciata dai suoi predecessori, esaltando in particolare sia la regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, sia il compito della Chiesa nel diffondere il Suo Regno:

«Qual epoca più della nostra fu così tormentata da vuoto spirituale e da profonda indigenza interiore, nonostante ogni progresso tecnico e puramente civile? Non può forse ad essa applicarsi la parola rivelatrice dell’Apocalisse: “Vai dicendo: sono ricco e dovizioso e non mi manca nulla; e non sai che tu sei meschino e miserabile e povero e cieco e nudo” (Ap 3,17)?»

A quarant’anni dalla sua ordinazione sacerdotale e dalla consacrazione dell’umanità a Cristo Re, il Pontefice esplicita le dolorose constatazioni di fatti precisi e allo stesso tempo illustra gli antidoti al male: di fronte all’allontanamento degli uomini dalla fede, invita al rinnovamento spirituale e al ritorno al cuore di Cristo. La massima aspirazione del Papa è quella di essere un «buon pastore» per tutti, infatti: «assicuriamo solennemente che un solo pensiero domina la Nostra mente: imitare l’esempio del buon pastore, per condurre tutti alla vera felicità, “affinché abbiano la vita e l’abbiano abbondantemente” (Gv 10,10)». Ciò che primeggia in questo programma di governo è rendere testimonianza alla Verità in un’Europa in preda alle ideologie totalitarie e belliche, alle menzogne religiose e ai movimenti anticristiani. E come non vedere in ciò che scriveva nel 1939 la prosecuzione di quella rovinosa filosofia e teologia che hanno deviato dalla retta via?

«Il tempo presente, venerabili fratelli, aggiungendo alle deviazioni dottrinali del passato nuovi errori, li ha spinti a estremi, dai quali non poteva seguire se non smarrimento e rovina. Innanzitutto è certo che la radice profonda e ultima dei mali che deploriamo nella società moderna sta nella negazione e nel rifiuto di una norma di moralità universale, sia della vita individuale, sia della vita sociale e delle relazioni internazionali; il misconoscimento cioè, così diffuso ai nostri tempi, e l’oblio della stessa legge naturale.»

Diritto naturale che oggi vediamo affossare – chi consapevolmente e chi inconsapevolmente, chi spavaldamente e chi codardamente – dagli stessi pastori:

«Questa legge naturale trova il suo fondamento in Dio, creatore onnipotente e padre di tutti, supremo e assoluto legislatore, onnisciente e giusto vindice delle azioni umane. Quando Dio viene rinnegato, rimane anche scossa ogni base di moralità, si soffoca, o almeno si affievolisce di molto, la voce della natura, che insegna, persino agli indotti e alle tribù non pervenute a civiltà, ciò che è bene e ciò che è male, il lecito e l’illecito, e fa sentire la responsabilità delle proprie azioni davanti a un Giudice supremo.»

La denuncia è chiara e coraggiosa: agnosticismo religioso e morale, oblio della carità, negazione della dipendenza del diritto umano dal diritto divino, autorità statuali che esprimono potere illimitato senza considerare il bene comune. La famiglia, cellula della società e che possiede una missione speciale, è anteriore, per natura, al concetto di Stato, e per questo va assolutamente sostenuta e «il Creatore diede ad entrambi forze e diritti e assegnò una missione, rispondente a indubbie esigenze naturali.»

Figlio dell’Avvocato Filippo, Eugenio studiò filosofia all’Università Gregoriana, si laureò in teologia e in utroque iure presso il Pontificio Ateneo del Seminario romano di Sant’Apollinare e fu ordinato sacerdote il 2 aprile 1899. Entrò nel 1901 al servizio della Santa Sede nella congregazione degli Affari straordinari, di cui fu prima sottosegretario (1911-14) e poi segretario (1914-17). Nel 1911 succedette a Monsignor Umberto Benigni quale sottosegretario agli Affari ecclesiastici straordinari, divenendone segretario aggiunto nel 1912 e segretario titolare nel 1914: in tale veste continuò ad affiancare il Cardinale Gasparri, nominato Segretario di Stato dal nuovo Papa Benedetto XV. Pacelli ebbe di conseguenza un ruolo attivo nell’applicazione della linea pontificia in occasione della prima Guerra mondiale, partecipando ai tentativi della Santa Sede di evitare l’estensione del conflitto all’Italia (obiettivo di una sua missione a Vienna nel 1915) e poi di favorirne una soluzione negoziale.

Il 13 maggio 1917, quando avvenne la prima apparizione della Madonna alla Cova da Iria a Fatima, Benedetto XV lo ordinò Vescovo elevandolo contemporaneamente alla dignità arcivescovile con il titolo di Arcivescovo di Sardi in partibus e lo nominò nunzio apostolico in Baviera, unica sede di nunziatura di tutto l’Impero tedesco. La presenza dell’evento Fatima ritornerà nella vita Papa Pacelli il 30 ottobre 1950. È l’antivigilia della solenne definizione del dogma dell’Assunzione. Verso le quattro pomeridiane passeggia nei giardini vaticani, intanto legge e studia. Sta per salire dal piazzale della Madonna di Lourdes verso la sommità della collina, nel viale di destra che costeggia il muraglione di cinta, è allora che solleva gli occhi dalle carte e punta al cielo. Scriverà un appunto su quel fenomeno, appunto autografo ritrovato nel 2008 all’interno dell’Archivio della famiglia Pacelli: «Fui colpito da un fenomeno, mai fino allora da me veduto. Il sole, che era ancora abbastanza alto, appariva come un globo opaco giallognolo, circondato tutto intorno da un cerchio luminoso», che non gli impedisce di continuare a fissarlo, proprio come era accaduto a Fatima il 13 ottobre di trentatré anni prima. «Il globo opaco si muoveva all’esterno leggermente, sia girando, sia spostandosi da sinistra a destra e viceversa. Ma nell’interno del globo si vedevano con tutta chiarezza e senza interruzione fortissimi movimenti».

Il Papa attesta poi di aver assistito allo stesso fenomeno il 31 ottobre, il 1° novembre (giorno della definizione del dogma dell’Assunta), poi nuovamente l’8 novembre. Ricorda pure di aver cercato «varie volte» in altri giorni, alla stessa ora e in condizioni atmosferiche simili, «di guardare il sole per vedere se appariva il medesimo fenomeno, ma invano; non potei fissare nemmeno per un istante, rimaneva subito la vista abbagliata

Pacelli insegnò diritto canonico all’Ateneo del Seminario romano e all’Accademia dei nobili ecclesiastici e proprio a questo periodo appartiene il suo studio La personalità e la territorialità delle leggi specialmente nel diritto canonico (1912). Assolse varie missioni in Germania, specie a Monaco nel 1919 e nel 1920 fu nominato primo nunzio a Berlino. In tale veste preparò e concluse concordati con la Baviera (1925), con la Prussia (1929), con il Baden (1932). Fu per dodici anni il perno delle relazioni della Santa Sede con la Germania e con l’episcopato tedesco, venendosi a trovare al centro della tumultuosa fase politica e sociale che attraversava quella nazione fra il 1918 e il 1919. Non perse mai occasione di presentare le sorti della Germania come determinanti per il futuro dell’Europa e della Chiesa non solo tedesca e allo stesso tempo di mettere in guardia dall’ondata destabilizzante dell’Europa stessa a motivo della rivoluzione bolscevica del 1917: ebbe modo di costatare personalmente gli accadimenti seguiti alla proclamazione a Monaco della Repubblica spartachista dei consigli (Räterepublik) nell’aprile del 1919. Nella circostanza espresse tutto il suo disgusto nei riguardi di quella che definì una «tirannia russo-giudaico-rivoluzionaria», addebitandone le cause, oltre che alla propaganda comunista, alla responsabilità delle potenze vincitrici, e denunciando il pericolo di una saldatura tra l’estremismo di sinistra e i movimenti della destra nazionalista, da lui definiti «bolscevismo nazionale».

Nominato Cardinale nel 1929, successe al Cardinale Pietro Gasparri come Segretario di Stato, divenendo così il più stretto collaboratore di Pio XI, che rappresentò in viaggi ufficiali in Europa e in America. Alla morte di Papa Ratti fu eletto Papa il 2 marzo 1939.

Levò la sua voce ad ammonire i governi, nel pericolo imminente della seconda Guerra mondiale, si pensi all’allocuzione del 3 marzo 1939, all’appello del 21 agosto e alla nota diplomatica del 31 agosto. Interpose la sua opera per evitare l’estensione del conflitto e specialmente la partecipazione dell’Italia alla guerra, rivolgendosi prima a Vittorio Emanuele III (visita al Quirinale, 28 dicembre) e poi con la lettera autografa del 24 aprile 1940 a Mussolini. Nei confronti della Germania, dove si perpetravano le vessazioni contro la Chiesa già denunciate e condannate da Pio XI con l’enciclica Mit brennender Sorge (10 marzo 1937), Pio XII cercò con proteste, appelli, note diplomatiche, di migliorare le relazioni, senza successo. Nello stesso tempo il Sant’Uffizio condannò alcune aberrazioni della teoria e della pratica del nazismo: l’eutanasia, messa in campo per sopprimere coloro che il regime considerava «non meritevoli di vita» (2 dicembre 1940) e la sterilizzazione, soprattutto coatta (23 febbraio 1941).

Non ci saranno mai parole sufficienti per lodare la straordinaria macchina di assistenza che Pio XII creò per le popolazioni in guerra attraverso l’organizzazione, presso la Segreteria di Stato, di un Ufficio informazioni sui prigionieri e dispersi che trattò più di dieci milioni di casi. Per alleviare le sofferenze causate dalla guerra, il Papa istituì la Pontificia Commissione Assistenza, che si occupò dei profughi e dei reduci, realizzando una vasta azione di assistenza caritativa e sociale. Per quanto riguarda Roma, il suo attivo intervento per farla riconoscere «città aperta» valse ad impedire che la città divenisse campo di battaglia fra due eserciti contrapposti.

Pio XII fu acclamato il 5 giugno 1944 da un’immensa folla in San Pietro defensor civitatis. Le modalità degli interventi per denunciare e frenare la persecuzione nazista contro gli ebrei, in massa aiutati e protetti dalla Chiesa e dallo stesso Vaticano, hanno provocato alcuni anni fa, ingiustamente e in mala fede, critiche e polemiche nei confronti dell’operato del Papa.

Nei confronti della Russia comunista, il Pontefice aveva previsto con lungimiranza i pericoli della sua espansione e della persecuzione contro la Chiesa, come si può verificare dalla corrispondenza che intrattenne con Franklin Delano Roosevelt, pubblicata già nel 1947. Combatté contro l’ideologia sovietica pubblicamente, come dimostra il radiomessaggio natalizio del 1942, e le organizzazioni che ad essa si ispiravano nelle altre nazioni. Il 1º luglio 1949 il Sant’Uffizio condannò il comunismo marxista, comminando la scomunica ai suoi sostenitori.

Nel campo sociale, ribadì le posizioni dottrinali dei suoi predecessori: dovere e diritto del lavoro scaturenti dalla natura umana (radiomessaggio natalizio 1941), umanizzazione dei rapporti fra lavoratori e imprenditori, affermazione della proprietà privata, estesa a tutti, come base fondamentale dell’ordine economico e sociale (messaggio natalizio, 1942; radiomessaggio, 1º settembre 1944) e insistette sulla necessità di un’attuazione, per gradi e non rivoluzionaria, di tali principi (discorso del 13 giugno 1943).

Pio XII rivolse inoltre una particolare attenzione alle questioni morali concernenti il matrimonio e la famiglia, alle quali dedicò molti discorsi, ricordiamo, fra i più significativi, quello alle ostetriche del 29 ottobre 1951. In ambito teologico, prese importanti posizioni su diverse questioni e pubblicò numerosi documenti fra cui le encicliche Mystici corporis sulla natura della Chiesa, Divino afflante spiritu per lo sviluppo degli studi biblici, Mediator Dei sulla liturgia, Humani generis per la condanna di alcuni orientamenti teologici e la costituzione apostolica Munificentissimus Deus per la proclamazione del dogma dell’Assunzione durante l’Anno Santo del 1950.

Le linee guida di Pio XII, ultimo Pontefice prima dell’azione propulsiva e liberalista di alcuni teologi e padri del Vaticano II che ottennero una Chiesa emancipata e sbarazzina, sono sempre valide: i suoi richiami alla sana dottrina e al ristabilimento della Verità sono di imprescindibile importanza in questi nostri ardui, schizofrenici, eretici e scandalosi  tempi, nei quali Cristo, così come sosteneva Monsignor Marcel Lefebvre, è stato detronizzato. Particolare il fatto che fu proprio Pio XII ad avviare gli scavi sotto la Confessione di San Pietro per l’identificazione del sepolcro del primo Pontefice. San Pietro si arrese a Cristo, così come si arrenderà Eugenio Zolli (1881-1956), nato Israel Anton, divenuto Rabbino capo di Roma e nel 1945 convertitosi al Cattolicesimo. L’incontro con Pio XII fu determinante nel suo percorso spirituale: già nel settembre del 1943, infatti, si dimise dalla carica di rabbino capo. Il nome che scelse per il suo battesimo, ricevuto nella basilica di Santa Maria degli Angeli, è inequivocabile: Eugenio Pio.

Il 18 ottobre 1967, nove anni dopo la sua morte, Paolo VI aprì il processo diocesano per la causa di beatificazione e canonizzazione. Nel 1990, con decreto firmato da Giovanni Paolo II, è stato proclamato Servo di Dio e il 19 dicembre 2009, con decreto firmato da Benedetto XVI, dove si attestano le virtù eroiche, è stato proclamato Venerabile con l’aspro dissenso della fazione ebraica ostile a Papa Pacelli.

Il programma del Pontificato di Pio XII si compì in funeste circostanze storiche, ma la sua figura si erge così solida, candida, ieratica, proprio come l’ha oggettivamente e magnificamente dipinta nel 2016 il pittore Giovanni Gasparro, da aver scalzato, con documentazione inoppugnabile, ogni tipo di perplessità storiografica. Ed oggi quelle parole e quegli auspici impressi in Summi Pontificatus risuonano più attuali che mai:

«Perciò Noi, come rappresentanti sulla terra di colui, che fu detto dal profeta “Principe della pace” (Is 9,6), facciamo appello ai reggitori dei popoli e a coloro che hanno in qualsiasi modo influenza nella cosa pubblica, affinché la chiesa goda sempre piena libertà di compiere la sua opera educatrice, annunziando alle menti la verità, inculcando la giustizia, e riscaldando i cuori con la divina carità di Cristo.

Se la chiesa, da una parte, non può rinunziare all’esercizio di questa sua missione, che ha come fine ultimo di attuare quaggiù il disegno divino di “instaurare tutte le cose in Cristo, sia le celesti sia le terrestri” (Ef 1,10), dall’altra, oggi la sua opera si dimostra più che in ogni altro tempo necessaria, giacché una triste esperienza insegna che i soli mezzi esterni e i provvedimenti umani e gli espedienti politici non portano un efficace lenimento ai mali, dai quali l’umanità è travagliata».

La libertà pedagogica pacelliana nella Verità portata da Gesù Cristo era ben altra cosa rispetto alla libertà avviata nella Chiesa da Giovanni XXIII, sofferta e sviluppata da Paolo VI, rivendicata da Giovanni Paolo II, sublimata da Giovanni Paolo I, trattenuta da Benedetto XVI, ostentata da Francesco.

 

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