La tolleranza religiosa – I

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Come abbiamo visto (qui), l’unità, anche politica, di Christianitas si reggeva sulla comune Fede cattolica. Ne consegue che ogni attentato alla medesima era anche un attentato alla stessa esistenza del Sacro Romano Impero ed alla sovranità, diremmo noi oggi, degli Stati che vi si riconoscevano. La sua difesa, quindi, diveniva la missione fondamentale di ogni governante. Questo era già vero per l’Impero romano, formalmente dopo l’editto di Tessalonica (27 febbraio 380), con il quale il Cristianesimo, nell’ortodossia cattolica sancita dal Concilio di Nicea (maggio-giugno 325), divenne religione ufficiale dell’Impero, ma, di fatto, a partire dall’editto di Milano (febbraio 313); ma sempre più lo divenne dopo il 476, sia per quanto concerne Bisanzio, sia, soprattutto, in Occidente.

Qui, dopo il crollo delle istituzioni imperiali e le devastazioni dovute ai barbari ed ai loro scontri con Costantinopoli, l’identità dei popoli si è sempre più identificata con l’appartenenza alla Chiesa cattolica, anche per il ruolo di supplenza politica esercitato dalla sua Gerarchia. Anche dove incominciano a ricostituirsi entità statuali degne di questo nome, l’elemento religioso non solo non cessa di essere alla base delle identità “nazionali”, ma diviene il fulcro delle nuove entità politiche. Questi nuovi Stati, prima, ed il Sacro Romano Impero, poi, si forgiano all’insegna della cattolicità, senza la quale non solo non esisterebbero, ma non avrebbero neppure ragione di esistere.

La difesa della Fede diviene, quindi, compito prioritario dell’autorità politica, tanto per sincero zelo religioso, quanto come vera e propria esigenza di sopravvivenza. Tale difesa si colloca sia sul piano interno, che su quello della politica estera, soprattutto a partire dalla comparsa dell’Islam sullo scacchiere internazionale.

Sul piano della politica interna, le problematiche da affrontare riguardavano, grosso modo, tre filoni di confronto e di scontro: con i pagani, con gli eretici e con i seguaci del Giudaismo, volgarmente detti ebrei[1].

La questione pagana è da suddividersi, sul piano storico, in due momenti: quello del confronto con i seguaci delle antiche religioni greco-romane e quello susseguente all’espansione del Sacro Romano Impero verso oriente, con la sottomissione di popolazioni germaniche e slave, non ancora cristianizzate.

Sul primo fronte, la cristianizzazione dell’Impero romano è avvenuta in modo quasi naturale e non si è assistito a tensioni particolari, se non durante il periodo in cui fu Imperatore (360-363) Flavio Claudio Giuliano (331-363), detto l’Apostata, per la sua apostasia del Cristianesimo in favore dell’antica religione, periodo nel quale egli tentò la ripaganizzazione dello Stato, giungendo fino ad emanare un editto (17 giugno 362) con cui vietava l’insegnamento a chiunque si fosse pubblicamente dichiarato cristiano; con la morte dell’Imperatore (26 giugno 363), il suo tentativo di riprendere la persecuzione anti-cristiana cadde nel vuoto e la cristianizzazione dello Stato riprese. Essa consistette, di fatto, nella collocazione di cristiani nelle posizioni di vertice della macchina statale, in sostituzione di personale pagano, nella eliminazione dal cerimoniale pubblico dei riferimenti al paganesimo, nella promozione delle feste cristiane e, dopo il 380, nella proibizione dei sacrifici pubblici dell’antica religione. Essa si spense progressivamente, mostrando una maggiore resistenza nelle zone rurali più sperdute, da cui il nome di paganesimo[2]. Lo Stato cristiano non attuò mai vere e proprie persecuzioni nei confronti dei pagani, paragonabili a quelle subite dai seguaci di Nostro Signore Gesù Cristo ad opera dei grandi Imperatori pagani, culminate con quelle (299-302 e 303-305) di Gaio Aurelio Valerio Diocleziano (244-313).

Discorso più complesso vale per i pagani entrati nel Sacro Romano Impero a seguito della sua espansione territoriale. Normalmente non si assistette ad episodi di “conversioni forzate”, anche per l’impossibilità concettuale delle medesime, per ciò che concerne il Cristianesimo: essendo la Fede la libera adesione dell’intelletto alle verità rivelate, è tecnicamente impossibile costringere qualcuno ad abbracciare il Cattolicesimo, perché ogni costrizione renderebbe la presunta adesione dell’intelletto non libera e, conseguentemente, non vera; si tratterebbe, semmai, di finzioni a fini politici. Probabilmente sono esistiti casi di “battesimi forzati”, ma anche questi sono stati molto limitati e compiuti come atto politico più che religioso. Anche su questi casi, tuttavia, occorre fare un’attenta analisi storiografica, per appurare come realmente si siano svolti i fatti e, soprattutto, il contesto storico e culturale che ha portato a questi battesimi di massa, imposti dalle armi dei vincitori.

Citiamo, come esempio, la famosa questione delle «Guerre sassoni» di Carlo Magno (742-814). Esse si protrassero dal 772 all’804. Il loro carattere, diremmo noi oggi, di «guerre di religione» fu chiaro fin dal principio, in quanto si fronteggiavano due popoli, l’identità di ciascuno dei quali era forgiata sul proprio credo religioso. I sassoni rappresentavano il prototipo classico del paganesimo germanico, mentre i franchi erano divenuti la spada della Chiesa. Queste guerre, intendendo tutti gli scontri armati che si sono susseguiti tra i due popoli e ricomprendendovi anche le insurrezioni sassoni dopo la loro sconfitta sul campo di battaglia, sono da intendersi come scontri tesi a verificare non solo quale dei due popoli avesse doti militari superiori a quelle dell’altro, ma quale delle due religioni fosse vera e quale falsa o, per parte pagana, quali divinità fossero più forti e, conseguentemente, più degne di essere adorate. La sconfitta sul campo di battaglia, quindi, avrebbe dovuto comportare, in maniera quasi automatica, la “conversione” dello sconfitto alla religione del vincitore, dimostratasi più efficiente e, conseguentemente, più degna di culto. Questa concezione trova suo adempimento plastico ed emblematico nel battesimo (785) di Vitichindo (730-310), eroico sovrano sassone e valente antagonista di Carlo Magno, battesimo in cui lo seguì la stragrande maggioranza del suo popolo. Questo più che un atto religioso in senso stretto fu un gesto di sottomissione politica ed espresse l’accettazione, da parte dei sassoni, di entrare a far parte della civiltà dei vincitori, anche se non completamente del loro popolo.

Certamente la legislazione che Carlo Magno impose ai sassoni, soprattutto nella fase iniziale dello scontro e della loro sottomissione, fu molto rigida nel proibire gli atti di culto tradizionali di quella popolazione, anche se, col passare del tempo e sotto le pressioni dei vescovi franchi, essa si ammorbidì notevolmente. Anche le voci di massacri di prigionieri, finalizzati alla conversione al Cristianesimo non trovano convincenti prove storiche ed appaiono come esagerazioni di una storiografia anti-cristiana.

 

(1-continua)

 

[1] Il termine «ebreo» è equivoco, in quanto può identificare tanto i seguaci dell’Ebraismo vetero-testamentario, quanto quelli del Giudaismo.

[2] Il termine «paganesimo» deriva dal latino pagus, che, nel linguaggio amministrativo romano, indicava la circoscrizione rurale, esterna ai confini della città.

 

 

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1 commento su “La tolleranza religiosa – I”

  1. Eccellente articolo, non solo per me che sono molto ignorante, ma SICURAMENTE anche per gli esperti di STORIA!
    GRAZIE DI CUORE!!!!!

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