Beatificazione del medico e sindaco spagnolo Mariano Mullerat Soldevila

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Con la beatificazione celebrata il 23 marzo 2019 nella cattedrale di Tarragona in Spagna, sono giunti quasi a quota duemila i martiri della guerra civile spagnola innalzati dalla Chiesa alla gloria degli altari. Una storia che oggi tanti tentano di occultare, operazione in realtà pressoché impossibile data anche solo la quantità di caduti in difesa della fede. A presiedere il rito, come delegato del Papa, il cardinal Giovanni Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.

Un cammino lungo quello che ha portato alla beatificazione del dottor Mullerat, iniziato in quel lontano 13 agosto 1936. Il nulla osta per l’avvio della sua causa è stato emesso dalla Santa Sede solamente il 13 febbraio 2003. Il processo diocesano si è svolto a Tarragona dal 9 luglio 2003 al 26 aprile 2004 ed è stato convalidato il 9 aprile 2007. La fase romana della causa è stata seguita dalla Postulazione Generale dei Domenicani, in nome del legame speciale che univa il Servo di Dio al loro Ordine. I Consultori storici della Congregazione delle Cause dei Santi si sono quindi riuniti l’8 aprile 2014. In seguito alla presentazione della Positio super martyrio e all’esame da parte dei Consultori teologi e dei cardinali e dei vescovi membri della Congregazione delle Cause dei Santi, è stato riconosciuto che davvero il candidato era morto in odio alla fede. Il decreto, promulgato il 7 novembre 2018 da papa Francesco, lo sanciva ufficialmente.

Mariano Mullerat Soldevila (in catalano Marià Mullerat i Soldevila) era nato a Santa Coloma de Queralt, presso Tarragona, il 24 marzo 1897. I suoi genitori, Ramon Mullerat Segura e Bonaventura Soldevila Calvís, avevano avuto molti figli, dei quali sette erano sopravvissuti. Mariano, il penultimo, fu battezzato sei giorni dopo la nascita, il 30 marzo 1897; secondo l’uso del tempo in Spagna, ricevette la Cresima poco meno di due mesi dopo, il 17 maggio. Molto presto rimase orfano di madre. Frequentò la scuola nel suo paese natale fino a tredici anni, quando divenne per quattro anni allievo interno del collegio San Pietro Apostolo di Reus, retto dai religiosi Figli della Sacra Famiglia. Qui ottenne ottimi voti, come anche nell’Istituto d’Insegnamento Secondario della stessa città. Durante le vacanze, però, faceva rientro al suo paese.

Nel 1914 entrò a far parte della Guardia d’Onore al Sacro Cuore di Gesù, impegnandosi quindi, per tutta la vita, ad offrire un’ora della sua giornata in riparazione alle offese contro l’Eucaristia. Si accostava, inoltre, molto di frequente ai Sacramenti della Confessione e della Comunione eucaristica. Fino ai diciott’anni fu socio di un circolo giovanile di Santa Coloma de Queralt, volto a portare avanti gli insegnamenti politici del movimento conservatore del carlismo e, tramite alcuni articoli per la stampa, cominciò anche a promuovere quegli stessi ideali.

Nel 1914 iniziò la facoltà di Medicina dell’Università di Barcellona. Anche qui i suoi voti furono eccellenti, mentre ancora più intensa si faceva la sua testimonianza di fede: era ancora studente del primo anno quando difese la verginità di Maria in aperto contrasto con un professore che, invece, la negava. Nel 1918 entrò nel pensionato della facoltà, cominciando il tirocinio pratico ed imparando a interagire direttamente con i pazienti. Nello stesso anno, con un compagno, diede alle stampe un testo di anatomia patologica. Nell’ottobre 1921, infine, ottenne la licenza in Medicina e Chirurgia.

Durante le vacanze estive, che trascorreva nel vicino paese di Arbeca, ospite di sua sorella Josepa e del marito di lei, Mariano, conobbe una ragazza, Maria Dolores Sans Bové. Nelle lettere che le scrisse a partire dal novembre 1918 le manifestò i propri sentimenti e la determinazione a dar vita ad una famiglia veramente cristiana. Si sposarono il 14 gennaio 1922, ad Arbeca. La loro prima figlia, Maria Dolores, morì appena nata, nel gennaio 1923, lo stesso giorno in cui le fu amministrato d’urgenza il Battesimo in casa. Dopo di lei, nel 1925, nacque un’altra bambina che ricevette lo stesso nome; seguirono Josefina, nel 1929; Adela, nel 1932; Maria Montserrat, nel 1935. Mariano e sua moglie educarono le figlie secondo i principi cristiani. In casa loro vivevano i nonni materni, una bisnonna e una serva, Teresa. Ogni sera, tutti insieme, svolgevano una sorta di liturgia domestica: recitavano il Rosario, ascoltavano una breve meditazione e restavano qualche istante in silenzio. La domenica, Mariano amava arrivare molto tempo prima della Messa, per prepararsi bene e accostarsi alla Confessione.

Stimatissimo come medico di famiglia, sia nel suo paese sia in quelli vicini, il dottor Mullerat riceveva tutti i giorni, in studio o, più di frequente, si recava dai pazienti a domicilio. A quanti guarivano grazie alle sue cure, rispondeva: «Non deve ringraziare me, ma Dio; è lui che cura». Aiutava anche materialmente i suoi malati più poveri, lasciando sotto il loro cuscino i soldi necessari per le medicine. Alla preoccupazione per la salute dei corpi accompagnava quella per la salvezza delle anime, preparando i moribondi a ricevere gli ultimi Sacramenti.

Apparteneva anche all’associazione degli Esercizi Spirituali Parrocchiali, che promuoveva tra i fedeli la pratica degli Esercizi secondo gli insegnamenti di sant’Ignazio di Loyola, ai quali lui stesso prese parte più di una volta. Iscritto anche all’Apostolato della Preghiera, era presidente del gruppo della Perseveranza nella fede. Prendeva parte a tutte le attività della parrocchia di San Giacomo nel suo paese. Devoto alla Vergine Maria, non si vergognava ad essere l’unico uomo partecipante alle funzioni del mese di maggio. Era anche molto vicino all’Ordine domenicano, in quanto una sua cognata era monaca domenicana dell’Assunzione.

Dal 1923 al 1926 diresse «L’Escut», un periodico che si occupava di agricoltura, religione, storia locale. Per la stima di cui godeva presso i cittadini di Arbeca, fu da loro eletto sindaco il 29 marzo 1924, a ventisette anni, pur senza appartenere ad alcun partito politico. Nel suo nuovo ruolo promosse varie opere urbanistiche, fece costruire nuove scuole e strade e aumentò i terreni coltivabili. Allo scopo di favorire la riscoperta delle tradizioni locali, aprì l’archivio municipale ai ricercatori storici e fondò una biblioteca. Tutte queste realizzazioni, unite al suo carattere simpatico, lo resero celebre in tutta la provincia. La sua carica terminò nel marzo 1930.

Qualche mese più tardi, in Spagna, fu proclamata la seconda repubblica. Gradualmente Mariano si distaccò dall’azione politica: percepì, infatti, come la Chiesa spagnola fosse in serio pericolo. I rischi aumentarono dopo il 1934, con la rivoluzione delle Asturie. Allo stesso modo, era consapevole che il suo essere credente lo rendeva un bersaglio per la persecuzione. Pur senza perdere la propria affabilità, entrò in un silenzio interiore, lo stesso con cui assistette al rogo delle immagini sacre nella sua chiesa parrocchiale. Accettò il consiglio di scappare a Saragozza per salvarsi, tuttavia giunto a Lerida decise di tornare indietro: non poteva abbandonare i suoi malati. Intensificò la sua vita di preghiera: ogni giorno, inginocchiato davanti al Crocifisso di casa sua, recitava l’orazione per la buona morte. Riuscì anche ad aiutare le suore domenicane del suo paese e, grazie ad alcuni colleghi, altre suore che si erano rifugiate in paese. Anche sua cognata, suor Montserrat Sans Bové, tornò a casa per cercare di scampare alla persecuzione. Spesso lo udì affermare che, qualora fosse stato ucciso, avrebbe perdonato i propri persecutori.

Il 10 e il 12 agosto fu costretto dai miliziani a firmare alcuni documenti, con cui veniva espropriato dei fondi economici che aveva versato per la propria pensione. Il 13 agosto, invece, altri miliziani si presentarono a casa sua. Entrati, cominciarono il saccheggio, gettando dalla finestra tutte le immagini sacre che riuscirono a trovare. Prima di uscire di casa, Mariano baciò un grande Crocifisso cui teneva molto: l’aveva comprato rinunciando, per qualche tempo, a fumare tabacco. Fece poi lo stesso con la figlia più piccola, che era in braccio a sua madre. Rivolto alla moglie, infine, disse: «Dolores, perdonali tutti, come anch’io li perdono».

Fu quindi portato nella caserma della Guardia Civile, la polizia spagnola, nella quale erano detenuti altri cinque abitanti di Arbeca. Anche lì, Mariano prestò i suoi servizi medici: prima a un miliziano che si era ferito per sbaglio con la propria arma da fuoco, poi a una donna che era venuta a chiedergli di prescrivere una medicina a suo figlio, gravemente ammalato. Il padre di quel ragazzo, peraltro, era tra i persecutori. I sei prigionieri vennero quindi fatti salire su un camion. A quel punto, Mariano invitò gli altri a recitare l’Atto di dolore. Annotò poi i nomi di alcune persone che avrebbe dovuto visitare e chiese di consegnare la lista a Francisco Galceran, anche lui medico in paese. Il mezzo si fermò ad El Pla, una località nei pressi di una cava di sabbia a tre chilometri dal paese. Mariano, sceso dal camion, invitò di nuovo gli altri a pregare e a perdonare quanti stavano per ucciderli. Un giovane, Antoni Martí Tilló, che tornava dal servizio militare, l’udì ripetere le ultime parole di Gesù in croce: «Nelle tue mani, Signore, affido il mio spirito».

Aveva appena finito di parlare, quando uno dei persecutori lo colpì al viso con una zappa, facendogli perdere alcuni denti. Verso le due del mattino, i condannati vennero colpiti con armi da fuoco. I corpi furono cosparsi di benzina e bruciati, ma non tutti erano già morti. Mariano aveva trentanove anni. Il grande Crocifisso che lui aveva baciato prima di andarsene rischiò di essere distrutto quando, poche ore dopo la sua morte, i miliziani tornarono a casa sua. Il nonno era disposto a consegnarlo, ma la figlia maggiore, Maria Dolores, si oppose vivamente: l’oggetto fu quindi risparmiato. Il mattino dopo, la domestica di casa Mullerat e le vedove degli uccisi riuscirono a recuperare gli effetti personali del dottore: un crocifisso bruciato, la chiave di casa e alcuni strumenti medici. I resti dei loro congiunti vennero deposti in un monumento che fu inaugurato quattro anni dopo l’accaduto, il 13 agosto 1940.

 

 

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