Cosa sta avvenendo in Libia?

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Il 4 aprile u.s., il generale Khalīfa Belqāsim Ḥaftar, uomo forte del governo di Tobruk, ha annunciato un’offensiva militare tesa a «liberare Tripoli dalle milizie e dai terroristi», vale a dire a conquistare la capitale libica e conseguentemente ad “unificare” il Paese sotto il suo controllo. Dopo un’iniziale avanzata travolgente, senza aver incontrato una resistenza degna di questo nome, le sue truppe hanno rallentato la loro marcia ed i combattimenti proseguono intorno alla città dal «bel suol d’amore»[1]; la sua mancata (per ora) caduta è dovuta principalmente all’intervento della milizia di Misurata.

Il generale Ḥaftar, nel corso del 2017, aveva pacificato la Cirenaica e tutta la Libia orientale, ponendole sotto il controllo del Governo di Tobruk. Divenuto uomo forte di questo Esecutivo, mentre continuava l’espansione dei territori controllati, soprattutto nella Libia meridionale, conduceva colloqui con il Primo Ministro di Tripoli, internazionalmente riconosciuto, Fāyez Muṣṭafā al-Sarrāj. A gennaio di quest’anno, ha lanciato un’offensiva, con cui ha annesso tutto il sud del Paese, con i relativi pozzi petroliferi.

Per la riunificazione, almeno teorica, della Libia, mancava, quindi, solo più la parte settentrionale della Tripolitania e, in modo particolare, la capitale e Misurata, con le aree immediatamente limitrofe. Di qui, l’attacco di questi giorni.

L’intervento delle milizie di Misurata ha, di fatto, impedito che l’offensiva si tramutasse in un blitz risolutivo, con la conquista di Tripoli in pochi giorni. Questo ha indotto il generale Ḥaftar a rivedere la sua strategia, in modo da assicurarsi la continuità dei rifornimenti.

È proprio in Libia che la cosiddetta «legge del pendolo» ha trovato l’applicazione che l’ha resa famosa, durante la Seconda Guerra Mondiale, con la sconfitta dell’Asse ad El Alamein (23 ottobre-3 novembre 1942). Le truppe impegnate in combattimento avanzano a velocità sempre superiore rispetto a quella dei rifornimenti; la necessità di inseguire il nemico, per impedirgli una ritirata ordinata e, soprattutto, di potersi riorganizzare dopo la sconfitta, obbliga ad aumentare la distanza tra i combattenti e le unità logistiche, ponendo, progressivamente, gli attaccanti in uno stato di debolezza. Questo dà maggiore forza a chi si difende, portandolo a contrattaccare, con una situazione identica alla precedente, solo a parti invertite. E questo si ripete, affinché uno dei due contendenti non subisce una sconfitta sufficientemente grave da permettere al nemico di occupare anche i propri punti di rifornimento, come è accaduto alle truppe italo-tedesche ad El Alamein. Il percorrere lo stesso territorio “avanti ed indietro” più volte ha fatto definire questo contesto militare con la suddetta locuzione, perché ricorda il movimento di un pendolo. Questo, ovviamente, è un rischio particolarmente forte in territori, come il deserto del Nordafrica, dove le distanze tra località che possono fungere da punti di rifornimento sono particolarmente grandi.

Ecco perché l’impossibilità di conquistare Tripoli da parte delle truppe del generale Ḥaftar ha dato luogo ad un contrattacco, da parte di quelle di al-Sarrāj, che si è concentrato nelle zone ad occidente della capitale libica, più distanti dai punti di rifornimento dei soldati del Governo di Tobruk, dislocati nell’est e nel sud del Paese, con la cattura di diversi militari fedeli all’uomo forte della Cirenaica nella città di Zwara. La momentanea stabilizzazione del fronte intorno alla capitale ha indotto l’Esercito nazionale libico[2] a concentrarsi sull’attacco a cittadine che potessero fungere da punti di rifornimento per le truppe più avanzate; di qui la presa di Azizya (12 aprile), 100 chilometri a sud di Tripoli, e l’attacco a Suani ben Adem, a soli 25 chilometri dalla capitale.

Questa è la situazione sul campo nel momento in cui stiamo scrivendo. Ma, politicamente, chi e che cosa rappresentano le due fazioni che si fronteggiano?

Lo scontro in atto in Libia ha, ovviamente, un valore interno, ma è anche uno dei quadranti, nel quale si fronteggiano le alleanze internazionali della più vasta partita mediorientale.

Dal punto di vista intra-libico, il Governo di Tobruk rappresenta il nazionalismo, lato sensu nasseriano[3], con tutto il suo favor verso il ruolo politico dei militari. L’idea di fondo è rappresentata dall’unità e dalla modernizzazione della Libia; si vuole farne uno Stato moderno e prospero, capace di giocare un ruolo nel Mediterraneo, nel mondo arabo ed in Africa.

Sul fronte dell’unità, a parte, ovviamente, alleanze tattiche, dovute ad interessi occasionalmente convergenti e/o a rivalità ed odi tribali, il generale Ḥaftar ed i suoi troveranno nelle varie milizie e, in modo particolare, nelle più importanti i loro naturali avversari, proprio perché il loro disegno strategico è quello di ridurne gradualmente il potere, fino ad annullarlo. È questo il motivo di fondo per cui la stragrande maggioranza delle bande armate di Misurata è, abbastanza rigidamente, cobelligerante (alleato in Libia è sempre un termine da usare con cautela) del Governo di Tripoli.

Sul fronte della modernizzazione, invece, i nemici di Tobruk sono tutte le formazioni islamiste, come dimostrato dal fatto che anche le milizie salafite[4] della Tripolitania, ideologicamente vicinissime all’Arabia Saudita, che, come vedremo, appoggia il Governo di Tobruk, si siano schierate con al-Sarrāj. Su questo fronte, si oppongono ad Ḥaftar anche tutti coloro che, dalle più diverse angolature politiche, non condividono la visione nazionalista dello sviluppo del Paese.

Per quanto riguarda, invece, il Governo di Tripoli, possiamo dire che non abbia un’ideologia di fondo, ma che venga sostenuto da tutti i nemici di quello di Tobruk. Questo, però, non impedisce che sia egemonizzato dalla Fratellanza musulmana, l’unica corrente, tra tutte quelle che lo appoggiano, che abbia una dottrina politica coerente e sufficientemente articolata; essa, in estrema sintesi, professa quello che potremmo definire un «islamismo dal basso», vale a dire che parte dall’islamizzazione della società, per giungere ad un regime islamico, dando grande spazio all’imposizione della morale musulmana ad ogni livello della vita, privata come sociale.

Sul piano internazionale, appoggiano il Governo di Tobruk, grosso modo, tutti i nemici dei Fratelli musulmani, mentre sostengono quello di Tripoli i loro alleati. Più specificamente, sono con il generale Ḥaftar l’Egitto, la Russia, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e, con qualche distinguo, che vedremo, la Francia, mentre appoggiano al-Sarrāj la Turchia, il Qatar, l’Algeria, l’Unione europea e le Nazioni Unite; gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno una posizione che, dall’iniziale appoggio a Tripoli, diviene sempre più favorevole a Tobruk, anche se oggi possiamo ancora parlare di neutralità.

L’Egitto del generale ʿAbd al-Fattāḥ Saʿīd Ḥusayn Khalīl al-Sīsī è lo Stato che maggiormente appoggia Ḥaftar. Vi è, innanzitutto, una sostanziale condivisione della linea politica, che potremmo definire «modernamente nasseriana»; vi è, poi, la circostanza di combattere i medesimi nemici, vale a dire il fondamentalismo islamico e, in particolare, la Fratellanza musulmana.

La Russia appoggia Tobruk in perfetta coerenza con la sua politica di ostilità verso il fondamentalismo islamico sunnita ed in contrasto con la Turchia, con la quale è in conflitto in Siria e che le contende, insieme a Stati Uniti e Cina, l’egemonia sulle Repubbliche ex-sovietiche dell’Asia centrale; essa, inoltre, in questa sua politica, sta sviluppando una crescente collaborazione con l’Egitto.

L’Arabia Saudita, nonostante sia uno dei più grandi sostenitori dell’Islam politico a livello planetario, sostiene il generale Ḥaftar ed ha ottimi rapporti con l’Egitto, per ragioni di “concorrenza” all’interno del campo fondamentalista. Essa, infatti, esporta, tutto dove le è possibile, il Wahhābismo, che è la lettura dell’Islam che permea il suo regime, e, conseguentemente, vede nella Fratellanza musulmana un pericoloso rivale nel campo dell’integralismo musulmano; appoggia, quindi, chiunque vi si opponga, anche se si tratta di regimi “laici”, al fine di rimanere, possibilmente, l’unico Paese egemone sul fronte dell’Islam politico. Per motivi di stretta alleanza politica, per non dire di sudditanza, nei confronti di Riad, anche gli Emirati Arabi Uniti fanno la medesima cosa. La strettissima collaborazione di questi due Paesi con Ḥaftar è dimostrata dalla visita del generale a Riad, dove è stato ricevuto dal Re, Salmān bin ʿAbd al-ʿAzīz Āl Saʿūd, proprio mentre il Principe ereditario di Abu Dhabi, sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, era in visita in Egitto.

La Francia, invece, appoggia Tobruk in chiave rigidamente anti-italiana (qui). Poiché i Governi italiani, precedenti all’attuale, hanno sostenuto in maniera assolutamente acritica Tripoli, Parigi cerca di ritagliarsi uno spazio di penetrazione in Libia, soprattutto nel campo degli idrocarburi, per le proprie aziende a spese delle nostre, presentandosi come il campione europeo nella difesa del generale Ḥaftar, dalla cui vittoria o, almeno, dalla cui permanenza nel controllo di una parte del territorio libico intende portare a casa vantaggiosi contratti. È per questo motivo che il nostro attuale Esecutivo ha avviato un dialogo anche con l’uomo forte della Cirenaica, ponendosi in funzione di mediatore tra i due contendenti, in modo che entrambi possano trovare conveniente continuare a collaborare con Roma e con le nostre aziende (Eni in particolare), senza esservi impediti da ragioni politiche.

La Turchia ed il Qatar contendono all’Arabia Saudita il ruolo di Stato egemone nel sostegno e nella guida dell’integralismo islamico a livello mondiale e, per fare ciò, hanno scelto di appoggiarsi alla Fratellanza musulmana. Di qui il loro sostegno a Tripoli.

L’Algeria ha una posizione quasi speculare rispetto a quella dell’Arabia Saudita: ha un regime laico e, dopo la guerra civile (1991-2002) che l’ha dilaniata, ma che ha anche eliminato quasi completamente la presenza dell’Islam politico dal Paese, non corre seri rischi di fondamentalismo, ma teme che un “eccessivo” rafforzamento dell’Egitto possa oscurare il suo ruolo di Stato egemone del Nord Africa, che ambisce a ricoprire. È da leggere in questa chiave il suo appoggio a Tripoli. Questo spiega anche perché il generale Ḥaftar abbia scelto questo momento per scatenare la sua offensiva. A metà dell’anno scorso il Governo di Algeri ha compiuto una serie di epurazioni all’interno delle forze armate e dei servizi di sicurezza, indebolendone molto l’efficienza; questo ha permesso alle forze di Tobruk di annettersi il sud della Libia nel gennaio di quest’anno. Il mese successivo, poi, l’Algeria è stata teatro di rivolta ai moti di piazza contro l’allora presidente Abdelaziz Bouteflika, dimessosi il 2 aprile scorso; la paralisi del potente vicino ha consentito ad Ḥaftar di scatenare l’offensiva di questi giorni in direzione di Tripoli.

Le Nazioni Unite, su pressione degli Stati Uniti di Barack Hussein Obama, nell’ottobre del 2015 hanno revocato il riconoscimento al Governo di Tobruk, per concederlo a quello di Tripoli. L’Unione europea ha pedissequamente seguito quest’orientamento e continua ad appoggiare al-Sarrāj, nonostante che il clima internazionale sia mutato, anche e non solo per l’evoluzione dell’orientamento statunitense.

Gli Usa, con la Presidenza di Donald Trump, hanno progressivamente raffreddato il loro appoggio a Tripoli, in virtù del mutamento di politica estera impresso della nuova Amministrazione, tant’è vero che, allo scoppio dell’ultima crisi, hanno ritirato il loro personale dalla capitale libica e si stanno preparando a rimpatriare le loro truppe presenti nel Paese africano o, almeno, gran parte di esse.

Quanto Ḥaftar stia percependo questo mutato clima internazionale ed i crescenti appoggi di cui progressivamente gode è dimostrato dal fatto che ha sferrato il suo attacco a Tripoli proprio mentre il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Manuel de Oliveira Guterres, era in visita nella capitale libica. E pare che, almeno su questo piano, non abbia sbagliato la valutazione, se, come è avvenuto, neppure in presenza di una così plateale sfida all’Onu, ci sono state reazioni, se non di facciata.

 

 

[1] Citazione del titolo («Tripoli bel suol d’amore»), con cui è popolarmente nota la canzone «A Tripoli» (1911) di Giovanni Corvetto (1887-1932), musicata da Colombo detto Colombino Arona (1871-1952), scritta in occasione della Guerra italo-turca (1911-1912), per la conquista della Libia.

[2] L’Esercito nazionale libico è l’insieme delle truppe regolari (non milizie) costituito dal Governo di Tobruk, all’indomani della caduta di Mu’ammar Muhammad Abu Minyar ‘Abd al-Salam al-Qadhdhafi (1942-2011), quando questo godeva del riconoscimento internazionale e mantenuto anche dopo che esso è passato all’Esecutivo di Tripoli. Esso è composto da un Esercito, una Marina e da un’Aviazione, sia pure molto rudimentali.

[3] Gamāl ʿAbd al-Nāṣir Ḥusayn (1918-1970) può essere considerato il primo realizzatore politico di un regime ispirato al nazionalismo arabo (o panarabismo), vale a dire l’ideologia che vede negli arabi una nazione distinta dalle altre, che si caratterizza per identità culturale ed ha un suo proprio destino politico, indipendentemente dall’Islam; non per nulla i principali teorici del panarabismo sono arabi cristiani. Inizialmente ha una connotazione anti-turca, in quanto rivendica l’indipendenza araba dall’Impero ottomano; dopo la Prima Guerra Mondiale, si colora di anti-colonialismo e, nonostante tragga moltissimi dei suoi principi dai movimenti nazionalisti europei, vede nell’egemonia delle nazioni del Vecchio Continente il primo e più immediato nemico. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, al tema della totale indipendenza dalle potenze coloniali e dell’unità del mondo arabo, si affianca quello dell’anti-sionismo.

Il nazionalismo arabo, a questo punto, si ripartisce in due grandi correnti: il nasserismo ed il Ba’th. Quest’ultimo pone maggiormente l’accento sulla lotta contro Israele e sull’unità politica dei territori su cui sorgono Siria, Iraq, Giordania e Palestina (intesa come l’insieme unitario ed arabo di Israele e di Giudea, Samaria e Gaza), definita «Grande Siria» dalla corrente di Damasco e «Grande Iraq» dalla corrente di Bagdad. Il nasserismo, invece, pone sempre maggiormente l’accento sulla modernizzazione e sullo sviluppo dei vari Stati arabi, non disdegnando aperture nei confronti di Israele e delle nazioni occidentali; si pensi agli accordi di Camp David (17 settembre 1978), con i quali l’Egitto del nasseriano Muḥammad Anwar al-Sādāt (1918-1981) diviene il primo Stato arabo ad intrattenere relazioni diplomatiche con Israele.

Da quel momento in poi, il principale nemico del panarabismo nasseriano diventa l’Islam politico, specialmente nella corrente della Fratellanza musulmana, che il 6 ottobre 1981 arriverà ad assassinare lo stesso Sādāt. Evoluzione simile subirà anche il Ba’th, soprattutto dopo la caduta di Ṣaddām Ḥusayn ʿAbd al-Majīd al-Tikrītī (1937-2006) e la fine della sua corrente irachena.

[4] Per «salafite» si intendono quelle correnti dell’Islam che hanno come modelli le prime tre generazioni di musulmani e vogliono ritornare, pressoché integralmente, ai loro costumi. I loro pensatori di riferimento sono Aḥmad b. Ḥanbal (780-855), fondatore della scuola giuridica hanbalita, la più rigida e la meno incline ad ammettere evoluzioni nel diritto islamico, Ibn Taymiyya (1263–1328), che viene considerato il maggior assertore, diremmo quasi il cantore, dello jihād, con particolari sottolineature di quello minore, vale a dire dell’uso della violenza per «reprimere il male e favorire il bene», e Muḥammad b. ʿAbd al-Wahhāb (1703-1792), fondatore del Wahhābismo, che è la lettura dell’Islam propria, tra gli altri, dell’Arabia Saudita e di Al-Qāʿida.

 

 

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1 commento su “Cosa sta avvenendo in Libia?”

  1. Forse per noi ci converrebbe che vincesse Haftar ed instaurasse una dittatura sotto il suo potere su tutta la Libia (un po’ com’era Gheddaffi) perchè così bloccherebbe l’afflusso dei negroni dagli stati a sud della Libia e quindi bloccherebbe le partenze mettendo fine al caos che nasce dalla divisione tribale attuale.

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